Sogno del 20/21 luglio 2012
Durante la settimana trascorsa ho avuto a che fare con quasi tutti gli elementi di questo sogno, tratti da avvenimenti e azioni compiute come come:
-guardare terminator salvation qualche sera prima
-parlare con viaggiatore del latte di mandorle qualche giorno prima
-ricevere una visita da mia zia il giorno stesso del sogno
- rivedere le foto del sito paleontologico la sera stessa del sogno
- rivedere le foto dell’escursione universitaria che tra cui alcune sul lago di Fiastra la sera
stessa del sogno
-vedere in autostrada un furgoncino con su lo stemma del gruppo speleologico il giorno stesso del
sogno
-parlare di credenze indiane un giorno prima (se non il giorno stesso, non ricordo) del sogno
-parlare dei maya nello stesso giorno che sono saltate fuori le credenze indiane
-parlare con lucky della volontà e delle iniziative autonome dei personaggio onirici qualche giorno (?) prima del sogno
Potete divertirvi a trovare i collegamenti con il sogno visto che si individuano abbastanza bene xD
Ho voluto inserire questa premessa perché potrebbe essere interessante e magari utile a qualcuno (sarà la prima e l'ultima volta, promesso. I miei sogni sono già abbastanza lunghi da loro). Non si sa mai e comunque male non fa no?
Il sogno comincia che sono in escursione con altri miei coetanei. Stiamo andando in un sito paleontologico situato poco distante da un lago fra monti altissimi che scendono a strapiombo. Sembra quasi una piccola palude. Il cielo è di quel tempo leggermente nuvoloso ma che lascia trasparire le lame di sole che tagliano l’atmosfera fino ad arrivare alla superficie del lago. Alla nostra destra abbiamo un prato dove una colonna vertebrale di mammut viene fuori per metà dal terreno ed è impiantata con un angolo di 40° rispetto ad esso. Avanti alla colonna vertebrale c’è anche dissotterrato il cranio gigantesco dell’animale estinto. Alla nostra sinistra invece abbiamo una specie di penisola circondata dal lago e con sopra una specie di architettura di pietra molto antica che richiama un po’ forme della civiltà Maya. Non è molto grande.
Mentre uno dei miei compagni lascia il gruppo e va ad arrampicarsi sulla colonna vertebrale del mammut con prevedibile ripresa e arrabbiatura del professore nostro accompagnatore (e mio sdegno personale che evito di esprimere), mi dirigo con gli altri verso l’architettura. Abbiamo camminato molto per giungere lì quindi molti posano gli zaini e si tolgono le scarpe per mettere a bagno i piedi nell’acqua.
Però mi accorgo che c’è qualcosa che non va. Osservo la superficie dell’acqua che viene mossa da qualcosa di lungo e sottile proprio poco al di sotto. Non riesco a distinguere bene, è una sagoma nera e sinuosa. Non mi piace la sensazione che ne deriva. In un istante un mio compagno che aveva le gambe immerse nell’acqua, viene afferrato per i piedi e trascinato verso il largo da una specie di grossa pinza meccanica.
Il ragazzo si aggrappa come può alla riva gridando di dolore mentre si avvia un fuggi fuggi generale per uscire fuori dal lago ed altre pinze meccaniche si avvicinano furtive dalla superficie. Mi precipito ad afferrare per le mani il mio compagno malcapitato cercando di trarlo in salvo fino a terra. La mia sola forza però non basta per sottrarlo alla macchina tanto che anch’io sono con l’ acqua fino alle ginocchia ormai a forza di essere tirata. Sul pelo dell’acqua poco lontano da me un’altra di quelle braccia meccaniche nuota silenziosamente. Gli altri se ne stanno li impalati ad osservare la scena e mi è inevitabile gridargli contro <<che diavolo state facendo? Ho bisogno di aiuto! Datemi una mano>>. Qualcuno si muove e afferra il ragazzo per il braccio aiutandomi a tirare. Finalmente ci togliamo dal lago prima che arrivino altre macchine. In salvo sulla terraferma noto che al ragazzo appena soccorso manca un piede. La macchina l’ha amputato prima di lasciarlo andare. La cosa strana è che non sanguina, come se la ferita fosse cicatrizzata o l’amputazione fosse stata fatta a fuoco così da evitare emorragie o infezioni. Intanto butto un occhio sul lago in cui quelle macchine nuotano a pelo dell’acqua come se stessero solo aspettando il momento buono per prenderci tutti e mi accorgo che l’isolotto in cui stiamo si sta lentamente immergendo. Avverto tutti che dobbiamo andarcene alla svelta ma il professore che è con noi controbatte con calma che è un’idea stupida, come se in realtà non stesse succedendo nulla. Anche i miei compagni sembrano tornati tranquilli, chiacchierano allegramente senza accorgersi di nulla o degnarmi minimamente d’ascolto nonostante poco prima abbiano assistito ad una scena non proprio ordinaria. Non capisco come sia possibile tanta stupidità. Sbigottita e scocciata me ne vado dicendo che facciano pure come vogliono poiché io me ne lavo le mani. Entro dentro l’architettura di pietra, creo una porta, la apro e finisco nella cucina di mia zia. Nella stanza c’è una donna indiana dai lunghi capelli neri e lisci, la carnagione olivastra, la classica goccia rossa sulla fronte e le vesti rosse e gialle dai colori brillanti. Mi accoglie calorosamente assieme ad un altro personaggio onirico femminile (che non riesco a ricordare se adulta o bambina). Mi siedo nell’unico angoletto libero del bancone da lavoro di granito. La donna indiana mi spiega che stanno preparando un dolce. Un bicchiere contenente un liquido bianco attira la mia attenzione. Le chiedo che cosa sia e la donna mi risponde gentilmente che è latte di mandorle, uno degli ingredienti per il dolce. Le rispondo di non aver mai assaggiato del latte di mandorle e la donna mi invita a bere quello nel bicchiere perché tanto ne ha in abbondanza. Non me lo faccio dire due volte, prendo il bicchiere e me lo porto alla bocca dando dei lunghi sorsi. Il gusto è talmente forte e dolce da stupirmi. E’ così reale e intenso da farmi pensare che in un sogno dovrebbe essere impossibile avere sensazioni del genere. Lo sento molto più dolce e più saporito del latte di cocco se messi a confronto. Finisco di bere intanto che la donna indiana accende il forno. Mi chiedo per un attimo cosa sarebbe successo se una di quelle macchine mi avesse presa. In pochi istanti avviene una cosa strana.
Lo scenario cambia. Sono in una caverna sommersa, al di sotto del lago, eppure si respira, non c’è acqua. La cosa più strana però è che mi sento sdoppiata. So che sono qui sotto nella caverna solo come doppio perchè l’altra mia metà è in superficie, al sicuro, nella cucina di mia zia. Ne approfitto per dare un’occhiata intorno (essere in due posti contemporaneamente mi era capitato una sola volta e per puro caso in un sogno normale. Qui invece l’ho controllato). La caverna è illuminata da torce infuocate appese alle pareti. A fianco a me vedo mia cugina chiacchierare con un personaggio onirico adulto (che non riconosco). So che sono stati portati tutti qui dalle pinze meccaniche che vagano nel lago. Avanti a me la caverna termina, la strada chiusa e lì, appeso alla parete di fondo con delle corde, c’è un povero ragazzo imprigionato e legato a immagine di crocifisso. Lo osservo mentre mi avvicino con cautela. E’ alto, grosso e robusto, non ha un filo di pancia ma comunque risulta corpulento nel suo insieme nonostante la sua altezza. Ha i capelli neri abbastanza corti, un viso un po’ marcato, la mandibola robusta. Il viso mi ricorda vagamente un mio ex compagno delle medie. Arrivata proprio avanti a lui, lo vedo alzare la testa con uno sguardo che implora aiuto. Dalla mia mano destra faccio spuntare degli artigli enormi con cui spezzo facilmente le corde, liberandolo. Sento che lui e mia cugina sono in qualche modo legati, forse stanno insieme? Dopo avermi ringraziata parliamo sull’essere intrappolati quaggiù. Gli dico qualcosa ironicamente come <<Tu e lei passereste il vostro tempo insieme per sempre>> riferendomi a mia cugina e lui mi risponde <<è il per sempre che mi spaventa>>. Si massaggia un attimo i polsi che mi fanno notare due mani possenti. Il ragazzo non mi attrae minimamente ma non faccio in tempo a voltarmi per richiamare l’attenzione di mia cugina che questo personaggio onirico mi bacia cogliendomi di sorpresa. Mi discosto ignorandolo mentre lui si giustifica che era solo una volta per provare visto che forse sarebbero rimasti imprigionati qui nella caverna per molto tempo (e il plurale non comprende me, quindi così dicendo mi da ulteriormente la conferma che io me ne possa andare quando voglio, non sono bloccata all’interno della grotta come loro). Cerco di pensare ad un modo per fuggire da qui. Dopotutto anche mia cugina è imprigionata, devo trovare un modo per farla uscire. Decido di esplorare completamente il luogo. Quindi ritorno verso mia cugina che ancora parla, superandola e ritrovandomi con delle brevi diramazioni della caverna. Sulle sue pareti ogni tanto si affacciano oblò che danno sul fondale del lago. Posso vedere le macchine pattugliare il perimetro di questo luogo instancabilmente. Non hanno intenzione di farci uscire. Prendo la diramazione che va verso sinistra e che ha una breve scalinata di 5 gradini che porta ad una camera della caverna arredata a salone da pranzo. C’è un tavolo enorme, lunghissimo e signorile, di legno rossiccio scuro (credo sia ebano a prima vista) dove una serie di nove sedie sono accostate da entrambi i lati più le due a capotavola (il materiale non lo ricordo, le vedo solo molto chiare, quasi color panna). Alla mia destra c’è un caminetto di pietra grigia. Nella sala non vi sono fiaccole accese ma l’illuminazione è sull’azzurro perché il tetto della caverna e la parete opposta a dove sono entrata sembrano trasparenti, come fossero fatte di vetro, e il fondale del lago riflette i suoi colori per via della luce solare esterna. Per un momento mi estranio dall’ambiente. C’è uno stacco come se io vedessi da fuori, dall’esterno di tutto, una sezione del lago e della caverna nella stanza in cui sono (immaginate di tagliare un palazzo a metà e porvi proprio avanti ad una delle due metà: vedreste i muri troncati, delle porzioni di stanza, il tetto perfettamente segato sapreste quanto è spesso. Sapreste dove finisce ad esempio un appartamento e dove ne comincia un altro, esattamente questo). Il vedere la scena in sezione che comprende anche una bella porzione di superficie ed in cui in lontananza vedo la riva con l’architettura in pietra, mi da così l’idea per misurare a che profondità siamo: a occhio sono circa tre metri di profondità considerando dal soffitto della stanza in cui sono fino alla superficie e una decina di metri al massimo dal fondale e quindi dalla base della caverna. Il problema perciò non è tanto la profondità a cui siamo ma la distanza dalla riva che sarà a circa una decina di metri da noi e questo significa essere esposti per 10 metri alle macchine che hanno la capacità di amputare parti del corpo e l’idea non è allettante. I miei ragionamenti vari vengono interrotti dall’arrivo del ragazzo moro ed il sogno svanisce senza che io abbia trovato la soluzione per farli uscire.