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Pensieri liberi di un certo spessore, riflessioni, ipotesi e speculazioni di varia natura. Ragionamenti all'interno dell'ambito umanistico non necessariamente attinenti all'onironautica.

CALYPSO - L 'ultimo viaggio

Messaggioda Mephisto » 08/02/2013, 5:13

Dal poema forse più onirico di Pascoli: L'ultimo viaggio.
Viene raccontata la storia di Ulisse, che ripercorre a ritroso il suo viaggio verso Itaca, e scopre che nulla di quanto narrato nell'Odissea è successo veramente. Ha solo sognato, un'enorme sogno che finisce con la disperazione degli ultimi due versi ( che chiudono il poema). Oggi in chat si è discusso del rapporto tra sogno e realtà, anche in riferimento alla poesia. Posto solo l'ultima parte perchè trovo che sia la più bella. Cosa insegna la storia di Ulisse esposta nel poema: che anche dal più bello, dal più glorioso e magnifico dei sogni di ci si risveglia sempre.
Godetevela, prendetela come una melodia che si confonde con un sogno.

CALYPSO
     E il mare azzurro che l’amò, più oltre
spinse Odisseo, per nove giorni e notti,
e lo sospinse all’isola lontana,
alla spelonca, cui fioriva all’orlo
carica d’uve la pampinea vite.
E fosca intorno le crescea la selva
d’ontani e d’odoriferi cipressi;
e falchi e gufi e garrule cornacchie
v’aveano il nido. E non dei vivi alcuno,
nè dio nè uomo, vi poneva il piede.
Or tra le foglie della selva i falchi
battean le rumorose ale, e dai buchi
soffiavano, dei vecchi alberi, i gufi,
e dai rami le garrule cornacchie
garrian di cosa che avvenia nel mare.
Ed ella che tessea dentro cantando,
presso la vampa d’olezzante cedro,
stupì, frastuono udendo nella selva,
e in cuore disse: Ahimè, ch’udii la voce
delle cornacchie e il rifiatar dei gufi!
E tra le dense foglie aliano i falchi.
Non forse hanno veduto a fior dell’onda
un qualche dio, che come un grande smergo
viene sui gorghi sterili del mare?
O muove già senz’orma come il vento,
sui prati molli di viola e d’appio?
Ma mi sia lungi dall’orecchio il detto!
In odio hanno gli dei la solitaria
Nasconditrice. E ben lo so, da quando

[p. 94]
l’uomo che amavo, rimandai sul mare
al suo dolore. O che vedete, o gufi
dagli occhi tondi, e garrule cornacchie?
     Ed ecco usciva con la spola in mano,
d’oro, e guardò. Giaceva in terra, fuori
del mare, al piè della spelonca, un uomo,
sommosso ancor dall’ultima onda: e il bianco
capo accennava di saper quell’antro,
tremando un poco; e sopra l’uomo un tralcio
pendea con lunghi grappoli dell’uve.
     Era Odisseo: lo riportava il mare
alla sua dea: lo riportava morto
alla Nasconditrice solitaria,
all’isola deserta che frondeggia
nell’ombelico dell’eterno mare.
Nudo tornava chi rigò di pianto
le vesti eterne che la dea gli dava;
bianco e tremante nella morte ancora,
chi l’immortale gioventù non volle.
     Ed ella avvolse l’uomo nella nube
dei suoi capelli; ed ululò sul flutto
sterile, dove non l’udia nessuno:
— Non esser mai! non esser mai! più nulla,
ma meno morte, che non esser più! —
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