Rosso Rubino
Spoiler:
Gocce di pioggia martellavano il mio cappello, quella notte sul molo, ma non ci facevo caso. La mia attenzione era rivolta più in basso, ai miei piedi, al centro di una colata di cemento a presa rapida.
Lucky Il Secco mi teneva sotto tiro. Sogghignò, aspirò una boccata dalla sigaretta e mi apostrofò: “Allora, pezzo di merda! Ti piacciono le tue nuove scarpe?!”
Sorrisi amaramente tra me e me. Come mi ero infilato in quella situazione?
Due giorni prima ero solo uno scrittore che giocava a fare il detective cercando ispirazione per i suoi racconti e per arrivare a fine mese. Mi ero sempre occupato di far luce su fatti di modesta entità: truffe, tradimenti... tanti piccoli peccati che ciascuno di noi commette e che la vita non gli perdona mai.
E mentre, chino sulla macchina da scrivere, fissavo da tre ore lo stesso foglio bianco, aveva suonato il campanello del mio studio...
“Primo piano.” Gridai. Con le esigue entrate delle mie pubblicazioni non potevo certo permettermi una segretaria a tempo pieno. Miss Cenwyn lavorava da me due ore a settimana, metteva ordine tra i miei appunti e stirava le camicie.
Sentii i passi salire per le scale, e un'ombra indugiò davanti al vetro della porta. Sulla superficie opaca una volta si poteva leggere il mio nome, ma ormai diverse lettere erano sbiadite. Qualche anno prima l’insegna recitava Dixit Fox Investigatore privato. Cercai di darmi un aspetto dignitoso. Sentii bussare timidamente.
“È aperto, entri pure.”
Finalmente l'uomo entrò. Era esile e minuto, ma abbigliato in modo eccessivamente austero. Aveva l'aria di uno che doveva mostrare serietà e sicurezza, ma appariva solo molto fragile.
“Salve... vedo che era impegnato a scrivere. Posso ripassare in un altro momento se disturbo.”
Gli feci cenno di accomodarsi.
L'ometto si tolse il cappello rispettosamente, ma non riusciva a calmarsi abbastanza da spiegarmi perché fosse venuto. Gli versai un bicchierino di whisky e ne preparai uno anche per me. Lo buttò giù come la più amara delle medicine, ma tutto d'un fiato. Poi estrasse dalla giacca un pacchetto di nazionali, e mi lanciò un’occhiata.
“Le... le dispiace se fumo?”
“Si metta a proprio agio”
“Sono Edivad Pibbody. Ma mi chiami pure Ed.”
“Bene. Cosa posso fare per lei?”
Malgrado l'agitazione, finalmente iniziò a parlare, e una volta rotto il ghiaccio divenne un fiume in piena. Venne fuori che faceva il cassiere alla Private Bank. Tra i suoi clienti, ogni martedì alle cinque, si presentava nella sua banca una donna: Stella Alrescha. Spiegò che era sempre molto gentile con lui e che l’aveva colpito in modo particolare. Edivad era evidentemente caduto vittima del suo fascino. La donna faceva la cantante in un night nei sobborghi della città, e settimanalmente depositava sul proprio conto corrente ventimila dollari in contanti. Il banchiere non aveva mai fatto domande, ma era chiaro che si trattava di ben più che lo stipendio di un’artista. Stella era infatti la donna del boss della zona nord della città, Igor L'Alchimista.
“Per farla breve, mr. Dixit… Questa settimana miss Alrescha è entrata in banca lunedì, all’apertura, quando ancora non c’era nessuno. Ha chiesto di usufruire della sua cassetta di sicurezza, e vi ha depositato quello che sembrava un logoro quaderno, chiedendomi di mantenere il riserbo. Il giorno dopo, quando alle cinque come al solito si è presentata, era scortata da un uomo che la strattonava bruscamente per il braccio.”
Aggrottai la fronte… dalla descrizione che fece dell’uomo, sembrava trattarsi di Erik detto Il panettiere. Era affiliato alla famiglia che contendeva la gestione di certi affari a quella dell’Alchimista, e negli ultimi tempi aveva mostrato una certa intraprendenza.
Edivad riprese:
“Era sconvolta. Si è fatta consegnare l’intera somma del suo conto corrente in assegni circolari, e se n’è andata. Mr. Dixit, vorrei che lei si assicurasse per me delle buone condizioni di salute di miss Alrescha.”
“Buone condizioni di salute.” Quella sera al Blue Amadillo, Stella sembrava in più che buone condizioni. Aveva cantato come un angelo, accompagnata da una piccola orchestra swing, e io, come il resto del pubblico, non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. L’abito rosso cupo le fasciava il corpo perfetto e i capelli castani le cadevano morbidi sulle spalle. Il vertiginoso spacco offriva un assaggio di quelle che erano due gambe davvero niente male.
Alla fine dell’ultimo pezzo scese tra i tavoli del locale e si sedette a quello del suo fidanzato. L’orchestra riprese a suonare, ma la mia attenzione rimase su di lei. Ora che la vedevo più da vicino appariva nervosa, e il boss sembrava essere adirato con lei. Ebbero una discussione, ma non riuscii a coglierne le parole. La ragazza si alzò dal tavolo, lui la trattenne per il braccio, con aria minacciosa. Lei ricambiò il suo sguardo, si liberò dalla presa e si diresse nel retro del Blue Amadillo, al suo camerino. L’istinto di Ed aveva ragione, la signorina aveva l’aria di essersi cacciata in un grosso pasticcio.
Decisi che era giunto il momento di fare una chiacchierata con Stella.
Un fattorino bussò alla porta della cantante. Prima che lei aprisse gli strappai i fiori dalle mani, gli infilai venti dollari nella tasca e gli dissi che li avrei consegnati io. Dopo un minuto Stella mi chiamò dentro, indicandomi un vaso vuoto lì vicino, mentre finiva di rimuovere il trucco. Da sotto il cerone emerse un occhio nero.
Quando guardando nello specchio si accorse che non ero il fattorino sobbalzò, ma passato lo spavento si tranquillizzò.
“Non è rimasto qui per la mancia, mister…”
“Dixit. Ha ragione, sono qui perché un suo amico teme che lei si sia cacciata in un brutto guaio. E intendo scoprire qual è per poterla aiutare.”
Lei si voltò, lasciando che la vestaglia morbida scoprisse la sottoveste, senza pudore.
“Non ho amici in questa città. E se non se ne va quanto prima l’unico a essere nei guai sarà lei. Il mio fidanzato può avere tutte le donne che vuole, ma è molto geloso.”
Le allungai un biglietto da visita.
“Voglio assicurarmi che lei stia bene”
“So badare a me stessa.” Affermò.
“Non è quello che dice il suo occhio.” Obbiettai.
Lei fece spallucce, tirò fuori un portasigarette in argento e in un sol gesto portò la mano alla bocca accendendosene una. Aspirò un’intensa, sensuale boccata di fumo.
Scostò una ciocca castana dal viso portandola indietro. Un lungo orecchino scendeva fino ad accarezzarle la fossetta a lato del collo con una catenella argentata e un rubino. Dall’altra parte ne pendeva uno uguale. Aveva grandi occhi da cerbiatta, e senza nemmeno rendermene conto mi ritrovai vicino a lei.
“Le suggerisco per il suo bene…” Iniziò la donna, ma non ebbe il tempo di finire.
La porta sbatté con violenza, venni afferrato e trascinato fuori da due mani enormi.
Quando mi risvegliai avevo la faccia sul marciapiede e, come scoprii più tardi, un biglietto scritto col rossetto in una tasca.
La grafia femminile diceva "Vicolo dietro Majesty Street, 3 A.M."
Indovinai la sua figura sotto un lampione rotto, era lei. E sotto di lei una pozza rossa non lasciava alcun dubbio. Stella Alrescha era morta. Mi chinai sul suo corpo per osservarla meglio. Qualcuno le aveva crivellato di colpi l’addome. Indossava ancora i vestiti della sera prima, anche se mancava…
Sentii dei passi alle mie spalle e istintivamente portai la mano alla pistola sotto la giacca. Fu così, con il ferro in mano, che la polizia mi trovò in quel vicolo.
E fu così che quando fui rilasciato, Igor L'Alchimista aveva fatto il suo due più due, e mi aveva mandato a prendere dai suoi scagnozzi.
“Una volta potevo passare le giornate a far cantare quelli come te. Ma vedi, non ho più l’energia di un tempo.” Si avvicinò, mentre io, legato ad una sedia, non potevo far altro che ricambiare il suo sguardo. Igor riprese: “Facciamo che tu mi rispondi prima che io mi stanchi di suonartele, e avrai qualche speranza di uscirne vivo. Per chi lavori? Perchè hai ucciso Stella?”
Dopo due ore, con la faccia gonfia e rintronato dai pugni, continuavo a urlare la mia innocenza. “Non sono stato io... quando sono arrivato era già morta!” L'Alchimista iniziava ad essere stanco, quindi cambiò tattica. E capii che non era davvero la ragazza che gli stava a cuore.
“Dove hai messo il taccuino. Sto perdendo la pazienza, Dixit.”
“Di che taccuino…”
Uno schiaffo mi fece morire in gola la fine della domanda.
“Il mio taccuino. Dove si trova?”
Ci pensai su un attimo. Non ero stato pagato anche per quella questione.
“La banca…” mormorai “Il… il taccuino è... nella cassetta di sicurezza.”
L'Alchimista avvicinò il viso al mio. Potevo sentire l’odore del suo fiato su di me. Digrignò i denti cercando di contenere la rabbia. “La cassetta di sicurezza è vuota.” Mi sibilò in faccia.
Sbattei le palpebre gonfie. Avvertivo ai piedi il calore del cemento che si solidificava. Presto sarei finito in pasto ai pesci, nessuno avrebbe saputo niente di me.
Ero rassegnato, qualcuno mi aveva incastrato per bene. Poi sentii alle mie spalle, sotto lo scrosciare della pioggia, il rombo di un’auto, ma Lucky non se ne accorse. Passi cauti ma sempre più vicini.
Attesi, poi mi rivolsi all’uomo con voce impastata. “Secco, hai una sigaretta?” Lo sgherro decise che poteva accontentarmi. Me la mise in bocca e l’accese, perché ero legato come un salame. Aspirai con intensità tale da farmi tossire. Mi piegai su me stesso, mentre Lucky rideva di me. Fu allora che sentii tre, quattro… cinque colpi di pistola. Lo scagnozzo si accasciò al suolo, mentre qualcuno corse a liberarmi.
Era Edivad, proprio lui.
Mi aiutò a raggiungere la sua auto ed entrai.
“Mi dispiace per Stella. Lei è...” mormorai.
“E' morta, lo so. Io speravo di aiutarla...”
Un oggetto sul tappetino dell’auto emise un tenue bagliore. Allungai la mano per raccoglierlo mentre lui parlava.
“Ma non ha voluto ascoltarmi. Ha finto di non conoscermi. Non voleva che mi avvicinassi…”
Tra le dita stringevo un lungo orecchino, con una catenella argentata e un rubino. Mi voltai a guardarlo.
“Saremmo stati felici insieme. Non crede, mr. Dixit?”
Lucky Il Secco mi teneva sotto tiro. Sogghignò, aspirò una boccata dalla sigaretta e mi apostrofò: “Allora, pezzo di merda! Ti piacciono le tue nuove scarpe?!”
Sorrisi amaramente tra me e me. Come mi ero infilato in quella situazione?
Due giorni prima ero solo uno scrittore che giocava a fare il detective cercando ispirazione per i suoi racconti e per arrivare a fine mese. Mi ero sempre occupato di far luce su fatti di modesta entità: truffe, tradimenti... tanti piccoli peccati che ciascuno di noi commette e che la vita non gli perdona mai.
E mentre, chino sulla macchina da scrivere, fissavo da tre ore lo stesso foglio bianco, aveva suonato il campanello del mio studio...
“Primo piano.” Gridai. Con le esigue entrate delle mie pubblicazioni non potevo certo permettermi una segretaria a tempo pieno. Miss Cenwyn lavorava da me due ore a settimana, metteva ordine tra i miei appunti e stirava le camicie.
Sentii i passi salire per le scale, e un'ombra indugiò davanti al vetro della porta. Sulla superficie opaca una volta si poteva leggere il mio nome, ma ormai diverse lettere erano sbiadite. Qualche anno prima l’insegna recitava Dixit Fox Investigatore privato. Cercai di darmi un aspetto dignitoso. Sentii bussare timidamente.
“È aperto, entri pure.”
Finalmente l'uomo entrò. Era esile e minuto, ma abbigliato in modo eccessivamente austero. Aveva l'aria di uno che doveva mostrare serietà e sicurezza, ma appariva solo molto fragile.
“Salve... vedo che era impegnato a scrivere. Posso ripassare in un altro momento se disturbo.”
Gli feci cenno di accomodarsi.
L'ometto si tolse il cappello rispettosamente, ma non riusciva a calmarsi abbastanza da spiegarmi perché fosse venuto. Gli versai un bicchierino di whisky e ne preparai uno anche per me. Lo buttò giù come la più amara delle medicine, ma tutto d'un fiato. Poi estrasse dalla giacca un pacchetto di nazionali, e mi lanciò un’occhiata.
“Le... le dispiace se fumo?”
“Si metta a proprio agio”
“Sono Edivad Pibbody. Ma mi chiami pure Ed.”
“Bene. Cosa posso fare per lei?”
Malgrado l'agitazione, finalmente iniziò a parlare, e una volta rotto il ghiaccio divenne un fiume in piena. Venne fuori che faceva il cassiere alla Private Bank. Tra i suoi clienti, ogni martedì alle cinque, si presentava nella sua banca una donna: Stella Alrescha. Spiegò che era sempre molto gentile con lui e che l’aveva colpito in modo particolare. Edivad era evidentemente caduto vittima del suo fascino. La donna faceva la cantante in un night nei sobborghi della città, e settimanalmente depositava sul proprio conto corrente ventimila dollari in contanti. Il banchiere non aveva mai fatto domande, ma era chiaro che si trattava di ben più che lo stipendio di un’artista. Stella era infatti la donna del boss della zona nord della città, Igor L'Alchimista.
“Per farla breve, mr. Dixit… Questa settimana miss Alrescha è entrata in banca lunedì, all’apertura, quando ancora non c’era nessuno. Ha chiesto di usufruire della sua cassetta di sicurezza, e vi ha depositato quello che sembrava un logoro quaderno, chiedendomi di mantenere il riserbo. Il giorno dopo, quando alle cinque come al solito si è presentata, era scortata da un uomo che la strattonava bruscamente per il braccio.”
Aggrottai la fronte… dalla descrizione che fece dell’uomo, sembrava trattarsi di Erik detto Il panettiere. Era affiliato alla famiglia che contendeva la gestione di certi affari a quella dell’Alchimista, e negli ultimi tempi aveva mostrato una certa intraprendenza.
Edivad riprese:
“Era sconvolta. Si è fatta consegnare l’intera somma del suo conto corrente in assegni circolari, e se n’è andata. Mr. Dixit, vorrei che lei si assicurasse per me delle buone condizioni di salute di miss Alrescha.”
“Buone condizioni di salute.” Quella sera al Blue Amadillo, Stella sembrava in più che buone condizioni. Aveva cantato come un angelo, accompagnata da una piccola orchestra swing, e io, come il resto del pubblico, non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. L’abito rosso cupo le fasciava il corpo perfetto e i capelli castani le cadevano morbidi sulle spalle. Il vertiginoso spacco offriva un assaggio di quelle che erano due gambe davvero niente male.
Alla fine dell’ultimo pezzo scese tra i tavoli del locale e si sedette a quello del suo fidanzato. L’orchestra riprese a suonare, ma la mia attenzione rimase su di lei. Ora che la vedevo più da vicino appariva nervosa, e il boss sembrava essere adirato con lei. Ebbero una discussione, ma non riuscii a coglierne le parole. La ragazza si alzò dal tavolo, lui la trattenne per il braccio, con aria minacciosa. Lei ricambiò il suo sguardo, si liberò dalla presa e si diresse nel retro del Blue Amadillo, al suo camerino. L’istinto di Ed aveva ragione, la signorina aveva l’aria di essersi cacciata in un grosso pasticcio.
Decisi che era giunto il momento di fare una chiacchierata con Stella.
Un fattorino bussò alla porta della cantante. Prima che lei aprisse gli strappai i fiori dalle mani, gli infilai venti dollari nella tasca e gli dissi che li avrei consegnati io. Dopo un minuto Stella mi chiamò dentro, indicandomi un vaso vuoto lì vicino, mentre finiva di rimuovere il trucco. Da sotto il cerone emerse un occhio nero.
Quando guardando nello specchio si accorse che non ero il fattorino sobbalzò, ma passato lo spavento si tranquillizzò.
“Non è rimasto qui per la mancia, mister…”
“Dixit. Ha ragione, sono qui perché un suo amico teme che lei si sia cacciata in un brutto guaio. E intendo scoprire qual è per poterla aiutare.”
Lei si voltò, lasciando che la vestaglia morbida scoprisse la sottoveste, senza pudore.
“Non ho amici in questa città. E se non se ne va quanto prima l’unico a essere nei guai sarà lei. Il mio fidanzato può avere tutte le donne che vuole, ma è molto geloso.”
Le allungai un biglietto da visita.
“Voglio assicurarmi che lei stia bene”
“So badare a me stessa.” Affermò.
“Non è quello che dice il suo occhio.” Obbiettai.
Lei fece spallucce, tirò fuori un portasigarette in argento e in un sol gesto portò la mano alla bocca accendendosene una. Aspirò un’intensa, sensuale boccata di fumo.
Scostò una ciocca castana dal viso portandola indietro. Un lungo orecchino scendeva fino ad accarezzarle la fossetta a lato del collo con una catenella argentata e un rubino. Dall’altra parte ne pendeva uno uguale. Aveva grandi occhi da cerbiatta, e senza nemmeno rendermene conto mi ritrovai vicino a lei.
“Le suggerisco per il suo bene…” Iniziò la donna, ma non ebbe il tempo di finire.
La porta sbatté con violenza, venni afferrato e trascinato fuori da due mani enormi.
Quando mi risvegliai avevo la faccia sul marciapiede e, come scoprii più tardi, un biglietto scritto col rossetto in una tasca.
La grafia femminile diceva "Vicolo dietro Majesty Street, 3 A.M."
Indovinai la sua figura sotto un lampione rotto, era lei. E sotto di lei una pozza rossa non lasciava alcun dubbio. Stella Alrescha era morta. Mi chinai sul suo corpo per osservarla meglio. Qualcuno le aveva crivellato di colpi l’addome. Indossava ancora i vestiti della sera prima, anche se mancava…
Sentii dei passi alle mie spalle e istintivamente portai la mano alla pistola sotto la giacca. Fu così, con il ferro in mano, che la polizia mi trovò in quel vicolo.
E fu così che quando fui rilasciato, Igor L'Alchimista aveva fatto il suo due più due, e mi aveva mandato a prendere dai suoi scagnozzi.
“Una volta potevo passare le giornate a far cantare quelli come te. Ma vedi, non ho più l’energia di un tempo.” Si avvicinò, mentre io, legato ad una sedia, non potevo far altro che ricambiare il suo sguardo. Igor riprese: “Facciamo che tu mi rispondi prima che io mi stanchi di suonartele, e avrai qualche speranza di uscirne vivo. Per chi lavori? Perchè hai ucciso Stella?”
Dopo due ore, con la faccia gonfia e rintronato dai pugni, continuavo a urlare la mia innocenza. “Non sono stato io... quando sono arrivato era già morta!” L'Alchimista iniziava ad essere stanco, quindi cambiò tattica. E capii che non era davvero la ragazza che gli stava a cuore.
“Dove hai messo il taccuino. Sto perdendo la pazienza, Dixit.”
“Di che taccuino…”
Uno schiaffo mi fece morire in gola la fine della domanda.
“Il mio taccuino. Dove si trova?”
Ci pensai su un attimo. Non ero stato pagato anche per quella questione.
“La banca…” mormorai “Il… il taccuino è... nella cassetta di sicurezza.”
L'Alchimista avvicinò il viso al mio. Potevo sentire l’odore del suo fiato su di me. Digrignò i denti cercando di contenere la rabbia. “La cassetta di sicurezza è vuota.” Mi sibilò in faccia.
Sbattei le palpebre gonfie. Avvertivo ai piedi il calore del cemento che si solidificava. Presto sarei finito in pasto ai pesci, nessuno avrebbe saputo niente di me.
Ero rassegnato, qualcuno mi aveva incastrato per bene. Poi sentii alle mie spalle, sotto lo scrosciare della pioggia, il rombo di un’auto, ma Lucky non se ne accorse. Passi cauti ma sempre più vicini.
Attesi, poi mi rivolsi all’uomo con voce impastata. “Secco, hai una sigaretta?” Lo sgherro decise che poteva accontentarmi. Me la mise in bocca e l’accese, perché ero legato come un salame. Aspirai con intensità tale da farmi tossire. Mi piegai su me stesso, mentre Lucky rideva di me. Fu allora che sentii tre, quattro… cinque colpi di pistola. Lo scagnozzo si accasciò al suolo, mentre qualcuno corse a liberarmi.
Era Edivad, proprio lui.
Mi aiutò a raggiungere la sua auto ed entrai.
“Mi dispiace per Stella. Lei è...” mormorai.
“E' morta, lo so. Io speravo di aiutarla...”
Un oggetto sul tappetino dell’auto emise un tenue bagliore. Allungai la mano per raccoglierlo mentre lui parlava.
“Ma non ha voluto ascoltarmi. Ha finto di non conoscermi. Non voleva che mi avvicinassi…”
Tra le dita stringevo un lungo orecchino, con una catenella argentata e un rubino. Mi voltai a guardarlo.
“Saremmo stati felici insieme. Non crede, mr. Dixit?”
Ogni riferimento a utenti del forum è puramente intenzionale, ma non rappresenta la reale natura delle persone citate. Gli utenti di Sognilucidi sono quasi tutti brave persone quindi non prendete troppo sul serio questo racconto