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Luogo ricreativo per chiacchierate libere.

Re: Sfida della Triplice Intesa

Messaggioda Cenwyn » 04/05/2014, 15:07

In ottemperanza alle direttive della Sfida della Triplice intesa, ecco a voi il mio racconto.


Rosso Rubino
Spoiler:
Gocce di pioggia martellavano il mio cappello, quella notte sul molo, ma non ci facevo caso. La mia attenzione era rivolta più in basso, ai miei piedi, al centro di una colata di cemento a presa rapida.
Lucky Il Secco mi teneva sotto tiro. Sogghignò, aspirò una boccata dalla sigaretta e mi apostrofò: “Allora, pezzo di merda! Ti piacciono le tue nuove scarpe?!”
Sorrisi amaramente tra me e me. Come mi ero infilato in quella situazione?
Due giorni prima ero solo uno scrittore che giocava a fare il detective cercando ispirazione per i suoi racconti e per arrivare a fine mese. Mi ero sempre occupato di far luce su fatti di modesta entità: truffe, tradimenti... tanti piccoli peccati che ciascuno di noi commette e che la vita non gli perdona mai.
E mentre, chino sulla macchina da scrivere, fissavo da tre ore lo stesso foglio bianco, aveva suonato il campanello del mio studio...
“Primo piano.” Gridai. Con le esigue entrate delle mie pubblicazioni non potevo certo permettermi una segretaria a tempo pieno. Miss Cenwyn lavorava da me due ore a settimana, metteva ordine tra i miei appunti e stirava le camicie.
Sentii i passi salire per le scale, e un'ombra indugiò davanti al vetro della porta. Sulla superficie opaca una volta si poteva leggere il mio nome, ma ormai diverse lettere erano sbiadite. Qualche anno prima l’insegna recitava Dixit Fox Investigatore privato. Cercai di darmi un aspetto dignitoso. Sentii bussare timidamente.
“È aperto, entri pure.”
Finalmente l'uomo entrò. Era esile e minuto, ma abbigliato in modo eccessivamente austero. Aveva l'aria di uno che doveva mostrare serietà e sicurezza, ma appariva solo molto fragile.
“Salve... vedo che era impegnato a scrivere. Posso ripassare in un altro momento se disturbo.”
Gli feci cenno di accomodarsi.
L'ometto si tolse il cappello rispettosamente, ma non riusciva a calmarsi abbastanza da spiegarmi perché fosse venuto. Gli versai un bicchierino di whisky e ne preparai uno anche per me. Lo buttò giù come la più amara delle medicine, ma tutto d'un fiato. Poi estrasse dalla giacca un pacchetto di nazionali, e mi lanciò un’occhiata.
“Le... le dispiace se fumo?”
“Si metta a proprio agio”
“Sono Edivad Pibbody. Ma mi chiami pure Ed.”
“Bene. Cosa posso fare per lei?”
Malgrado l'agitazione, finalmente iniziò a parlare, e una volta rotto il ghiaccio divenne un fiume in piena. Venne fuori che faceva il cassiere alla Private Bank. Tra i suoi clienti, ogni martedì alle cinque, si presentava nella sua banca una donna: Stella Alrescha. Spiegò che era sempre molto gentile con lui e che l’aveva colpito in modo particolare. Edivad era evidentemente caduto vittima del suo fascino. La donna faceva la cantante in un night nei sobborghi della città, e settimanalmente depositava sul proprio conto corrente ventimila dollari in contanti. Il banchiere non aveva mai fatto domande, ma era chiaro che si trattava di ben più che lo stipendio di un’artista. Stella era infatti la donna del boss della zona nord della città, Igor L'Alchimista.
“Per farla breve, mr. Dixit… Questa settimana miss Alrescha è entrata in banca lunedì, all’apertura, quando ancora non c’era nessuno. Ha chiesto di usufruire della sua cassetta di sicurezza, e vi ha depositato quello che sembrava un logoro quaderno, chiedendomi di mantenere il riserbo. Il giorno dopo, quando alle cinque come al solito si è presentata, era scortata da un uomo che la strattonava bruscamente per il braccio.”
Aggrottai la fronte… dalla descrizione che fece dell’uomo, sembrava trattarsi di Erik detto Il panettiere. Era affiliato alla famiglia che contendeva la gestione di certi affari a quella dell’Alchimista, e negli ultimi tempi aveva mostrato una certa intraprendenza.
Edivad riprese:
“Era sconvolta. Si è fatta consegnare l’intera somma del suo conto corrente in assegni circolari, e se n’è andata. Mr. Dixit, vorrei che lei si assicurasse per me delle buone condizioni di salute di miss Alrescha.”

“Buone condizioni di salute.” Quella sera al Blue Amadillo, Stella sembrava in più che buone condizioni. Aveva cantato come un angelo, accompagnata da una piccola orchestra swing, e io, come il resto del pubblico, non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. L’abito rosso cupo le fasciava il corpo perfetto e i capelli castani le cadevano morbidi sulle spalle. Il vertiginoso spacco offriva un assaggio di quelle che erano due gambe davvero niente male.
Alla fine dell’ultimo pezzo scese tra i tavoli del locale e si sedette a quello del suo fidanzato. L’orchestra riprese a suonare, ma la mia attenzione rimase su di lei. Ora che la vedevo più da vicino appariva nervosa, e il boss sembrava essere adirato con lei. Ebbero una discussione, ma non riuscii a coglierne le parole. La ragazza si alzò dal tavolo, lui la trattenne per il braccio, con aria minacciosa. Lei ricambiò il suo sguardo, si liberò dalla presa e si diresse nel retro del Blue Amadillo, al suo camerino. L’istinto di Ed aveva ragione, la signorina aveva l’aria di essersi cacciata in un grosso pasticcio.
Decisi che era giunto il momento di fare una chiacchierata con Stella.

Un fattorino bussò alla porta della cantante. Prima che lei aprisse gli strappai i fiori dalle mani, gli infilai venti dollari nella tasca e gli dissi che li avrei consegnati io. Dopo un minuto Stella mi chiamò dentro, indicandomi un vaso vuoto lì vicino, mentre finiva di rimuovere il trucco. Da sotto il cerone emerse un occhio nero.
Quando guardando nello specchio si accorse che non ero il fattorino sobbalzò, ma passato lo spavento si tranquillizzò.
“Non è rimasto qui per la mancia, mister…”
“Dixit. Ha ragione, sono qui perché un suo amico teme che lei si sia cacciata in un brutto guaio. E intendo scoprire qual è per poterla aiutare.”
Lei si voltò, lasciando che la vestaglia morbida scoprisse la sottoveste, senza pudore.
“Non ho amici in questa città. E se non se ne va quanto prima l’unico a essere nei guai sarà lei. Il mio fidanzato può avere tutte le donne che vuole, ma è molto geloso.”
Le allungai un biglietto da visita.
“Voglio assicurarmi che lei stia bene”
“So badare a me stessa.” Affermò.
“Non è quello che dice il suo occhio.” Obbiettai.
Lei fece spallucce, tirò fuori un portasigarette in argento e in un sol gesto portò la mano alla bocca accendendosene una. Aspirò un’intensa, sensuale boccata di fumo.
Scostò una ciocca castana dal viso portandola indietro. Un lungo orecchino scendeva fino ad accarezzarle la fossetta a lato del collo con una catenella argentata e un rubino. Dall’altra parte ne pendeva uno uguale. Aveva grandi occhi da cerbiatta, e senza nemmeno rendermene conto mi ritrovai vicino a lei.
“Le suggerisco per il suo bene…” Iniziò la donna, ma non ebbe il tempo di finire.
La porta sbatté con violenza, venni afferrato e trascinato fuori da due mani enormi.
Quando mi risvegliai avevo la faccia sul marciapiede e, come scoprii più tardi, un biglietto scritto col rossetto in una tasca.
La grafia femminile diceva "Vicolo dietro Majesty Street, 3 A.M."

Indovinai la sua figura sotto un lampione rotto, era lei. E sotto di lei una pozza rossa non lasciava alcun dubbio. Stella Alrescha era morta. Mi chinai sul suo corpo per osservarla meglio. Qualcuno le aveva crivellato di colpi l’addome. Indossava ancora i vestiti della sera prima, anche se mancava…
Sentii dei passi alle mie spalle e istintivamente portai la mano alla pistola sotto la giacca. Fu così, con il ferro in mano, che la polizia mi trovò in quel vicolo.
E fu così che quando fui rilasciato, Igor L'Alchimista aveva fatto il suo due più due, e mi aveva mandato a prendere dai suoi scagnozzi.
“Una volta potevo passare le giornate a far cantare quelli come te. Ma vedi, non ho più l’energia di un tempo.” Si avvicinò, mentre io, legato ad una sedia, non potevo far altro che ricambiare il suo sguardo. Igor riprese: “Facciamo che tu mi rispondi prima che io mi stanchi di suonartele, e avrai qualche speranza di uscirne vivo. Per chi lavori? Perchè hai ucciso Stella?”
Dopo due ore, con la faccia gonfia e rintronato dai pugni, continuavo a urlare la mia innocenza. “Non sono stato io... quando sono arrivato era già morta!” L'Alchimista iniziava ad essere stanco, quindi cambiò tattica. E capii che non era davvero la ragazza che gli stava a cuore.
“Dove hai messo il taccuino. Sto perdendo la pazienza, Dixit.”
“Di che taccuino…”
Uno schiaffo mi fece morire in gola la fine della domanda.
“Il mio taccuino. Dove si trova?”
Ci pensai su un attimo. Non ero stato pagato anche per quella questione.
“La banca…” mormorai “Il… il taccuino è... nella cassetta di sicurezza.”
L'Alchimista avvicinò il viso al mio. Potevo sentire l’odore del suo fiato su di me. Digrignò i denti cercando di contenere la rabbia. “La cassetta di sicurezza è vuota.” Mi sibilò in faccia.

Sbattei le palpebre gonfie. Avvertivo ai piedi il calore del cemento che si solidificava. Presto sarei finito in pasto ai pesci, nessuno avrebbe saputo niente di me.
Ero rassegnato, qualcuno mi aveva incastrato per bene. Poi sentii alle mie spalle, sotto lo scrosciare della pioggia, il rombo di un’auto, ma Lucky non se ne accorse. Passi cauti ma sempre più vicini.
Attesi, poi mi rivolsi all’uomo con voce impastata. “Secco, hai una sigaretta?” Lo sgherro decise che poteva accontentarmi. Me la mise in bocca e l’accese, perché ero legato come un salame. Aspirai con intensità tale da farmi tossire. Mi piegai su me stesso, mentre Lucky rideva di me. Fu allora che sentii tre, quattro… cinque colpi di pistola. Lo scagnozzo si accasciò al suolo, mentre qualcuno corse a liberarmi.
Era Edivad, proprio lui.
Mi aiutò a raggiungere la sua auto ed entrai.
“Mi dispiace per Stella. Lei è...” mormorai.
“E' morta, lo so. Io speravo di aiutarla...”
Un oggetto sul tappetino dell’auto emise un tenue bagliore. Allungai la mano per raccoglierlo mentre lui parlava.
“Ma non ha voluto ascoltarmi. Ha finto di non conoscermi. Non voleva che mi avvicinassi…”
Tra le dita stringevo un lungo orecchino, con una catenella argentata e un rubino. Mi voltai a guardarlo.
“Saremmo stati felici insieme. Non crede, mr. Dixit?”


Ogni riferimento a utenti del forum è puramente intenzionale, ma non rappresenta la reale natura delle persone citate. Gli utenti di Sognilucidi sono quasi tutti brave persone :roll: quindi non prendete troppo sul serio questo racconto : Chessygrin :
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Re: Sfida della Triplice Intesa

Messaggioda dixit » 04/05/2014, 17:10

Ed ecco il mio. Quoto i disclaimer di Cen.

L'ultima gara.
Spoiler:
Cenwyn si cambiò rapidamente il vestito sporco di sangue e ne indossò uno rosso, che prese dalla ventiquattrore. Le piaceva tanto quell'abito, per via della profonda scollatura sulla schiena e perché lo specchio insisteva nel dire che la rendeva oltremodo sexy. A coprire le spalle soltanto la lunga chioma bionda.
Perse un po' di tempo col trucco in bagno, quindi tornò nel salotto e si fermò per togliersi un orecchino dalla forma di proiettile dorato. Lo lasciò cadere accanto al corpo di un uomo steso a terra sul tappeto. Quindi Cenwyn lasciò di buon passo l'appartamento.
Edivad rinvenne poco dopo, si mise seduto e massaggiandosi la testa cercò di capire dove fosse. L'appartamento non gli era nuovo.
– Maledizione! – imprecò – La gara è cominciata di nuovo!
Dolorante si rizzò in piedi. L'essere stato tramortito, rapito e trasportato sin lì, sconvolgeva i programmi della sua serata.
Qualcosa luccicò per terra e lo raccolse. Riconobbe l'orecchino di Cenwyn e lo nascose in una tasca della giacca.
Il cadavere di un uomo se ne ne stava nudo nella vasca del bagno, in un lago di sangue con la gola tagliata.
– Addio vecchio Morfeo. Mi dispiace, ma hai perso ai punti. Forse non meritavi una fine così, ma sai com'è quella donna… e poi le regole son regole.
Edivad cercò la valigetta coi soldi dell'ultima rapina. La trovò in uno scomparto finto della libreria in salotto, dove Morfeo gli aveva detto di averla nascosta. Cenwyn non era riuscita a rinvenirla, prima di andar via.
Udì le sirene della polizia.
– Troppo presto! – esclamò – Maledetta Cenwyn, non potevi aspettare ancora mezzora prima di chiamarla? Che modi quella donna!
Edivad uscì di corsa sul terrazzo all'ottavo piano. Si sporse dal parapetto e con un balzo finì su di un cornicione del palazzo di fronte, oltre il vicolo stretto. Scese in un terrazzo e s'infilò in una finestra aperta. All'interno era buio. Si dileguò prima dell'arrivo degli sbirri.

Cenwyn entrò nell'ufficio del Direttore Morfeo, eludendo il sistema di sorveglianza con un codice che gli aveva dato Edivad, che lavorava per la stessa banca. Cenwyn l'aveva corrotto con le solite moine con cui l'abbindolava. Frugò in giro senza badare al disordine che metteva. Rovesciò cassetti e pacchi di carta stampata. Sapeva che i documenti compromettenti dovevano essere lì da qualche parte. I falsi titoli per truffare clienti facoltosi erano un'invenzione che si poteva smascherare solo con carte alla mano. Un'ottima occasione per un ricatto in piena regola. Soldi facili.
Cenwyn si sedette alla scrivania. Accese il computer ed entrò con la password WBTB+DEILD, sempre fornitagli dal succube Edivad. Passò un'ora a rovistare nell'archivio, fino a quando non trovò quel che cercava. Fece una stampa, una firma falsa con la calligrafia ben imitata e uscì dall'edificio senza fretta.

Edivad aveva il fiatone. Si guardava di continuo le spalle, controllando se qualcuno lo seguisse, mentre camminava di fretta. Percorse a piedi la strada che lo condusse in cima alla piccola collina, di fronte il ristorante gestito da un loro amico, noto come Lucky Casanova. A quell'ora il locale era chiuso. Lucky fumava una sigaretta, se ne stava tranquillo seduto su una panchina sotto il portico, con i piedi sopra un tavolo. Quando vide arrivare Edivad lo salutò a malapena, facendogli cenno con il capo ed emettendo grandi volute di fumo.
– È già arrivata Cen? – chiese Edivad, col fiatone che lo stava uccidendo. Si appoggiò a una colonna del portico.
Lucky scosse il capo, fissandolo crucciato. – Non sapevo dovesse venire. Dove sono i soldi?
– In questa valigetta. – disse, posandola sul tavolo di fronte a Lucky e allontanando le nuvolette di fumo invadente – Il vecchio Morfeo ha tirato le cuoia.
Lucky lo fissò severamente. – È stata lei, vero? Non poteva aspettare contassimo i punti di nuovo?
Edivad fece spallucce e aprì la valigetta con la combinazione datagli da Morfeo.
Lucky tentò di afferrare alcune mazzette, ma Edivad con un gesto repentino chiuse la valigetta.
– Prima i gioielli. – sentenziò, inchiodandolo con lo sguardo.
Lucky rise senza scomporsi. Allungò una mano sotto il tavolo e prese una borsa. Ne estrasse degli involtini di stoffa e ne spiegò uno per mostrargli il contenuto. Era un diamante grosso quanto una noce.
– Ecco qui, il frutto del riciclaggio di quel tizio della mala cinese.
– E lui?
– Kaito? Bang! – rispose, facendo il gesto della pistola con la mano.
– Ottimo lavoro Lucky. Allora non ci resta che spartire, quindi possiamo dileguarci per un po', sino alla prossima gara.
Lucky si guardò attorno. – Lei non è ancora arrivata. Che sia stata arrestata?
– Non lo so. Non mi ha chiamato. Comunque non dovrebbe tardare. Sai come sono fatte le donne.
Lucky annuì. – Appunto perché lo so non mi fido. Che ne dici, Edi? Spartiamo tra di noi. Lasciamola perdere quella lì, non aspetta nemmeno che contiamo i punti assieme. Di questo passo ci ritroveremo tutti quanti con una palla in fronte senza sapere il perché.
– È un gioco folle, lo so. Ma Cen non ha mai barato, per quanto ne so. – rispose Edivad, sospirando.
– Però è nato tutto da un sogno di quella pazza, no? Prima è arrivato quel tizio nuovo, come si chiamava… con la combinazione vincente alla lotteria, prima dell'estrazione. Alla fine ci ha preso la mano e non ci siamo più fermati. Rapine, furti, omicidi… chi fa di più guadagna più punti.
– Avevamo stabilito che chi non reggeva il ritmo dovesse morire. Ci piacciono le scommesse pericolose, no? – commentò Edivad con un sorriso.
Lucky mise una mano sulla valigetta. – Ora contiamo questi. Poi pensiamo a Cen.
Edivad fece scivolare nella sua mano una pistola, nascosta dentro la manica della giacca.
– Da parte di Cen. – disse – Voleva avessi un suo orecchino.
Edivad sparò e Lucky reclinò indietro il capo, morto sul colpo.
– Mi dispiace vecchio mio, la tua fortuna finisce qui. Hai perso ai punti.
Edivad raccolse i soldi e la borsa con i gioielli. Si allontanò e percorse una strada poco in vista, che scendeva il crinale opposto della collina.
Un suv si fermò in un piccolo parcheggio. Cenwyn scese dal mezzo e dopo essersi guardata intorno, per assicurarsi non ci fosse nessuno, andò verso Edivad.
– Eccoti, pensavo non venissi. – esordì lui, con un ghigno.
Cenwyn gli sventolò la bionda chioma dinanzi al volto e gonfiò il petto per sembrare autoritaria. Edivad si perse per un momento fra le colline.
– Non mancherei mai a un appuntamento importante. – rispose lei, con voce suadente.
– Ho i soldi. – disse Edivad, raggiante – Tu hai portato ciò che sai?
Cenwyn si tolse il secondo orecchino. Estrasse una pistola dalla borsetta e ve lo inserì.
– Naturalmente. Non resta che occuparci di un ultimo perdente. – affermò, fingendo tristezza.
Edivad scosse il capo. – Tranquilla, al vecchio Lucky ci ho già pensato io. Guarda, ho anche i suoi gioielli. Più punti per me!
– Ottimo! – esclamò Cenwyn – Sono ricca!
La donna puntò la pistola contro il petto di Edivad e fece fuoco.
Questi cadde in ginocchio e parlò con un filo di voce.
– Ma no! I miei punti erano i più alti.
– Ti sbagli. – rispose, raccogliendo la valigetta e la borsa – Ora è tutto in mano mia. Come vedi sono quella che vince tutto!
Edivad la guardò in viso, una lacrima gli rigò una guancia.
– Dimmi che è tutto un sogno, ti prego.
– Ovviamente! Il mio sogno. E ora lo potrò realizzare. Ciao, ciao!
Edivad collassò e non si mosse più.
Cenwyn rientrò nel suv e sparì lungo la strada. Solo un ultimo boato sconvolse la notte silenziosa, quando il veicolo in fiamme cadde lungo il fianco della collina.
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Re: Sfida della Triplice Intesa

Messaggioda Dreamwar » 04/05/2014, 19:44

WOW BRAVIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII

e soprattutto grazie per la menzione : Frown :
...non e' che perche' io sono qui con voi ... vuol dire che io sia come voi !
... e nemmeno perche' l'ho scelto !
... mi ci sono ritrovato .


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Re: Sfida della Triplice Intesa

Messaggioda dixit » 04/05/2014, 20:08

Dreamwar ha scritto:WOW BRAVIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII

e soprattutto grazie per la menzione : Frown :

quale menzione? :lol:
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Re: Sfida della Triplice Intesa

Messaggioda Edivad » 04/05/2014, 22:10

Mi scuso per il ritardo, e domani magari faccio un po' di editing sui typo che sicuramente sono rimasti...
PER UN ORECCHINO
Spoiler:
PER UN ORECCHINO

La pioggia era continua ed inesorabile in quella gelida serata di Settembre. L'acqua veniva giù da ore e non accennava a fermarsi.
Ogni tanto un lampo e poi un tuono interrompevano prepotentemente l'altrimenti continua cacofonia del traffico.
Ma ciò sembrava importar poco all'uomo che in un pesante cappotto e cappello nero si era fermato per qualche secondo ad osservare la facciata di un locale, incurante dell'acqua scrosciante.
Visto dall'esterno il Morpheo's Lounge aveva un aspetto elegante e rispettabile - d'altronde era uno dei luoghi di ritrovo più rinomati della città, frequentato da artisti, senatori, industriali...insomma, tutta la gente che contava.
Poco importava - il detective Edmund Donald Ivad sapeva che c'era del marcio e che stava a lui occuparsene: secondo i suoi contatti la proprietaria del locale, già coinvolta in traffici di ogni tipo aveva deciso di espandere il suo giro d'affari di furti d'arte ed aste illegali.
Si parlava di capolavori che sparivano misteriosamente per poi venir acquistati per migliaia e migliaia di dollari - cifre da capogiro.
Le ambizioni di quella donna non avevano limite ed oramai i conflitti con altre bande che si occupavano di questi 'affari' già da prima erano inevitabili.
Presto la fragile tregua tra le gang della città si sarebbe infranta, e questa sarebbe stata un occasione perfetta per fare un po' di pulizia...

Ivad fece per entrare ma il possente portiere lo bloccò

"Hey tu!" esclamò l'omaccione in un doppiopetto di almeno una taglia troppo stretto
"Polizia federale." rispose il detective con una smorfia estraendo il tesserino da una tasca

L'uomo lo prese nelle mani enormi, leggendolo a fatica nella penombra "Investigatore...federale. " si fermo per un attimo, strizzando gli occhi "E. D. Ivad. "
Per qualche secondo apparve crucciato, come se avesse già sentito quel nome.
Se Ivad ne era compiaciuto, non lo mostrò.
"Può entrare. Ma qui siamo puliti!" disse il portiere restituendogli la tessera
"Spetta a me deciderlo." replicò Ivad entrando

L'odore di tabacco e whisky, prima solo accennato, penetrava ora acremente e prepotentemente le sue narici. I suoi occhi esperti si mossero rapidamente in ogni direzioni, in cerca di attività sospette.
Il locale era effettivamente molto elegante, arredato con buon gusto. A malincuore dovette ammettere che anche la musica - un composto quartetto Jazz - non sfigurava, per quanto non fosse il suo genere.
Non era un brutto posto, anzi... ma al suo infallibile intuito era chiaro che si trattasse solo di una copertura.
E d'altronde se Cenwyn e i suoi sgherri gestivano un posto così di classe e guadagnavano così tanto, chissà cosa nascondevano...

"E' pur sempre un ritrovo di malfattori." disse tra sè e sè "Feccia, per quanto raffinata."

Ad un tavolo una decina di metri da lui un uomo sussurrò qualcosa all'orecchio di una donna, che si voltò con uno sguardo di disappunto nella direzione del detective. Lei fece un gesto e l'uomo si allontano.

Doveva essere lei, pensò Ivad. Inseparabile dalla sua pregiata pelliccia di coniglio, lunga sigaretta dal bocchino d'argento e gatta grigia dal portamento altero...si, era proprio lei che cercava.

Clare Evelyn Nelle Wellington Yolanda Natalie, detta Cenwyn. Una donna d'età indefinibile, d'aspetto elegante e raffinato quanto il suo locale. Il suo passato era avvolto nel mistero - giravano voci che provenisse da una delle più potenti famiglie della Mafia Italo-irlandese, che fosse una nobildonna del Vecchio Mondo, che i suoi mariti fossero tutti scomparsi in circostanze poco chiare. Chi indagava al riguardo tendeva a sparire in circostanze poco chiare. Ma una cosa era certa - era una donna molto pericolosa.

Si alzò dal suo tavolo, tenendo il calice di champagne tra le lunghe dita affusolate vedendo che Ivad le si avvicinava

"Clare Evel...." le disse senza darle il tempo di presentarsi
"Cenwyn. Solo Cenwyn." Lei lo interruppe. La sua voce era calda e priva di esitazioni - la voce di una donna non abituata ad essere contraddetta
"Posso offrire un sigaro, o..." disse con un sorriso falso come una banconota da tre dollari
"Non fumo." replicò Ivad impassibile "Né bevo."aggiunse
"Che uomo integerrimo! Ma d'altronde lo sapevo, la sua fama la precede...Altri suoi colleghi non sono così severi" commento Cenwyn con una risatina.
Si volto per qualche secondo, sollevando il calice per salutare un trio di uomini seduti non molto lontano.
"Colleghi venduti..." pensò Ivad, intravedendo visi familiari
"E suppongo non sia qui per la musica...o altre questioni di piacere" disse Cenwyn sempre con voce melliflua
"Sai benissimo perché sono qui." disse fissandola negli occhi. Il suo sguardo era come l'acciaio e penetrava sprezzante attraverso il fumo della sua sigaretta
"Costituisciti, ti conviene." disse. Non era un uomo da giri di parole, l'ispettore Ivad.

Su un bracciolo della sedia la gatta di Cenwyn, Little Merciful - una creatura dal pelo grigio ed elegante e lo sguardo perennemente annoiato e disapprovante ma dal portamento elegante quanto malevolo, al pari della padrona - fece un miagolio di disappunto.
"Su su..." disse Cenwyn accarezzandola
Ivad era imperterrito.
"Sono un'onesta imprenditrice. Lei mi offende..." disse Cenwyn.

Ivad fece per alzarsi e andarsene. Non si aspettava di meglio..
Si era alzato da pochi secondi quando un altro uomo si avvicinò a Cenwyn.

Uscendo Ivad ne incrociò lo sguardo e si soffermo per qualche attimo

Era Faccia-di-volpe... era uno dei soprannomi del noto gangster Italo Dix. Detto anche Dix. It.
Un uomo sulla trentina, smilzo e dai lineamenti volpini che ne giustificavano l'appellativo.
"Non sembra così sveglio di persona. Ma se quel diavolo Cenwyn si fida tanto di lui deve sapere il fatto suo..."pensò Ivad mentre se ne andava. Fuori pioveva ancora...

Poco dopo, nel loro ufficio privato nel retro del locale Cenwyn e Dix discutevano sul da farsi.

"Non bastava la banda di Al Rescha..." Cenwyn esalò una boccata di fumo, palesemente infastidita dalla piega che stavano prendendo gli eventi.
"E' un tipo tosto, quello."disse Dix

"Gli altri li rigiriamo come vogliamo..." Cenwyn mando giù un bicchiere di vino rosso "Lui no. E' un cane sciolto. Il colpo al porto deve andare a buon fine. Ho già dei compratori per tutti quei reperti. E l'orecchino deve essere mio!"

"Anche Al Rescha ha gli occhi su quel carico, boss. Ma ho in mente uno stratagemma. Rischioso, ma ne vale la pena. Poi ci dedicheremo a quel fottuto federale."disse Dix, che era sobrio

"Fai come vuoi."disse Cenwyn versandosi un altro bicchiere

Nel suo ufficio Ivad fissava i quotidiani degli ultimi giorni, buttati alla rinfusa sulla sua scrivania. Cercava di intuire le mosse di quei criminali: quale sarebbe stato il loro prossimo colpo?
Un museo? La casa di qualche ricco collezionista? O forse...

I suoi occhi caddero su un trafiletto. Un carico di opere preziose dall'Europa....un preziosissimo orecchino, creazione del celeberrimo gioielliere russo Labergè.
Ma certo! Cenwyn aveva sempre avuto una passione per i gioielli, e sarebbe stata in competizione con le altre bande per ottenerlo...


Era notte inoltrata quando gli uomini di Al Rescha entrarono nel container giù al porto, con passo sicuro e felpato. D'altronde non erano nuovi a questo genere di imprese...

Ma non lo era neanche Ivad. Poco lontano li seguiva, nascosto nell'ombra.
Davanti a loro vi era una donna con un enorme cappello - forse doveva servire a nasconderne la bassa statura, ma, al contrario, la accentuava.
Ivad la riconobbe
"Alfonsina Rescia...Che incosciente venir qui di persona. Forse voleva evitare che i suoi uomini danneggiassero i reperti...Beh, meglio per me." si disse mentre armeggiava con la radio per chiamare il resto della squadra, avvicinandosi al container.

Quest'ultimo era di grandi dimensioni, ed entrata coi suoi Al Rescha osservò compiaciuta gli scatoloni che sicuramente contenevano veri e propri capolavori..
I suoi occhi esperti caddero su alcuni pregevoli sarcofaghi, stranamente non coperti...

TONF!
Questi si aprirono di colpo e da essi spuntarono gli sgherri di Cenwyn, capeggiati da Dix. It

"SORPRESA!" esclamo quest'ultimo, iniziando a mitragliare a destra e a manca

"E' una trappola, merda!" disse uno dei gangster di Al Rescha.

Lei lo fissò per un attimo con disappunto - odiava la volgarità, era una criminale vecchio stile. Solo per una attimo, però. Rapida estrasse una pistola dall'impugnatura finemente intarsiata in avorio e madreperla....

Se non fosse stato per gli spari, avrebbero sentito il rumore delle sirene, in lontananza.

"SIETE IN ARRESTO!" urlò Ivad spuntando dalle ombre e sbarrando l'unica uscita. Inutile. Ormai il piombo volava ovunque.
Due uomini caddero, trucidati uno dal mitra di Dix, l'altro dalla pistola di Al, abile tiratrice.
Poi l'assordante ticchettio della Thompson del primo si interrompé; Gettò a terra il caricatore ormai vuoto per prenderne un altro e poi urlò
"Venite fuori, stronzi!" ridendo come un matto ritornando a crivellare a destra e manca

Ivad si era riparato dietro uno scatolo poco lontano dall'uscita. Doveva resistere per pochi minuti, per quanto tesi.... Una pallottola vagante lo sfioro, forando il suo copricapo.
"Il mio cappello preferito. Se non posso mandare questa feccia ad Alcatraz li manderò all'inferno!" pensò alzandosi di colpo.
BAM! BAM! tuonò la sua implacabile .44 Magnum colpendo un gangster al cuore. Le sirene erano ormai a pochi metri, e si potevano udire perfino sopra il rumore degli spari.

I gangster gettarono le loro armi a terra e si arresero.

"Gran lavoro, Ivad!" si congratulò l'ispettore capo Justin Davids
"Ho fatto solo il mio dovere."
"Al Rescha finisce dentro, sicuro. Ma Cenwyn e Dix, beh.." la sua voce era greve
"Cosa?" chiese Ivad con una smorfia
"Hanno dalla loro il dottor Day. Il più quotato strizzacervelli della città. Proporrà l'infermità mentale. Sai come funzionano queste cose..."
Ivad sputò per terra.
Il suo lavoro non finiva mai... Avrebbe ripulito quella città. Costasse quel che costasse.
Ultima modifica di Edivad il 13/06/2014, 22:48, modificato 2 volte in totale.
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Re: Sfida della Triplice Intesa

Messaggioda Lucky144 » 05/05/2014, 11:23

A parte il fatto che non vedo perché quel povero lucky debba essere sparato in 3 racconti su 3, sono carini. Mi è piaciuto molto quello ci Cenwyn dalle prime battute.
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Re: Sfida della Triplice Intesa

Messaggioda Cenwyn » 05/05/2014, 13:34

Ma no tesoro, in quello di Edivad nessuno ti spara : Chessygrin :
Sarà perchè non ci sei...
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Re: Sfida della Triplice Intesa

Messaggioda Lucky144 » 05/05/2014, 13:38

Cenwyn ha scritto:Ma no tesoro, in quello di Edivad nessuno ti spara : Chessygrin :
Sarà perchè non ci sei...


Ah no ?... e vabbè ho ancora un omino da giocare quindi.
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Re: Sfida della Triplice Intesa

Messaggioda Edivad » 05/05/2014, 14:39

Temevo che i 'presenti' si sarebbero offesi visto il ruolo non positivo, invece sembra che si offendano gli assenti :P
Scherzi a parte, l'ho scritto in maniera un po' affrettata alla fine...sicuramente migliori quelli di Cenwyn e dixit!
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Re: Sfida della Triplice Intesa

Messaggioda dixit » 05/05/2014, 20:10

Bel racconto Edivad, mi piace l'atmosfera : Thumbup :
Pensavo avessi mandato tutti quanti all'Inferno... : Twisted :
Però adesso, santissimo iddio, bontà del cielo, correggi le bozze! : CoolGun :
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