Indice Conversazioni Off Topic Bar da Morfeo > Sfida dell'ennupla intesa

Luogo ricreativo per chiacchierate libere.

Quale dei racconti Pulp con Pistola ti è piaciuto di più?

Sondaggio concluso il 20/07/2014, 0:13

Megalex - Suicidio di massa - viewtopic.php?f=28&t=7449&start=40#p72212
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Cenwyn - Che gran brutto casino - viewtopic.php?f=28&t=7449&start=40#p72217
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Dixit - Il battello dei condannati - viewtopic.php?f=28&t=7449&start=40#p72220
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Edivad - MEGA LEX SED LEX - viewtopic.php?f=28&t=7449&start=50#p72251
3
20%
 
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Re: Sfida dell'ennupla intesa

Messaggioda Cenwyn » 24/06/2014, 18:23

Riporto il testo originale sulla gestione dei tempi in questa sfida:
Tempi:
Tutti e tre i racconti dovranno essere pubblicati qui in questo topic inderogabilmente entro Domenica 29 Giugno 2014.
Eventuali ritardi comporteranno l'insulto e l'umiliazione del ritardatario, la pubblica gogna, e lo sputo da parte dei bambini e dei vecchi.


Signori, qualora doveste ritardare, vi informo che non ci sono parole per descrivere una simile accozzaglia di orride virtù.
Ma nell'infausto caso che addirittiura vi ritiriate dalla sfida... due sole parole si affacciano alla mia mente sconvolta: codardia e viltà.
Invito vecchi e bambini a sputarvi addosso fin d'ora.
La vita è scoprire quello che accade dopo il presente, un po' per volta
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Re: Sfida dell'ennupla intesa

Messaggioda dixit » 24/06/2014, 19:19

*prende un ombrello e canta "singing in the rain"*
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Re: Sfida dell'ennupla intesa

Messaggioda ErikBauer » 24/06/2014, 23:32

Cenwyn ha scritto:Riporto il testo originale sulla gestione dei tempi in questa sfida:
Tempi:
Tutti e tre i racconti dovranno essere pubblicati qui in questo topic inderogabilmente entro Domenica 29 Giugno 2014.
Eventuali ritardi comporteranno l'insulto e l'umiliazione del ritardatario, la pubblica gogna, e lo sputo da parte dei bambini e dei vecchi.


Signori, qualora doveste ritardare, vi informo che non ci sono parole per descrivere una simile accozzaglia di orride virtù.
Ma nell'infausto caso che addirittiura vi ritiriate dalla sfida... due sole parole si affacciano alla mia mente sconvolta: codardia e viltà.
Invito vecchi e bambini a sputarvi addosso fin d'ora.


E sia... il cammino della vita è fatto anche di sconfitte e umiliazioni
I sogni sono il sussurro di un bambino che non ha ancora imparato a mentire.

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Re: Sfida dell'ennupla intesa

Messaggioda Dreamwar » 28/06/2014, 17:43

HEEEEEEEEEEEEEEY SIAMO AGLI SGOCCIOLI !!!

il tempo sta per scadere .. fate andare quelle stramaledettissime penne !
...non e' che perche' io sono qui con voi ... vuol dire che io sia come voi !
... e nemmeno perche' l'ho scelto !
... mi ci sono ritrovato .


THE ONLY SOLUTION IS REVOLUTION -otep-

cio che distingue un uomo da un animale e' il senso artistico

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Re: Sfida dell'ennupla intesa

Messaggioda dixit » 28/06/2014, 18:45

Ok, io sono a 6mila. Di quanto si può sforare? : CoolGun :
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Re: Sfida dell'ennupla intesa

Messaggioda megalex » 28/06/2014, 21:48

Spoiler:
-Questa pistola è uno schifo assoluto, come cazzo ti è venuto in mente di prendere un pezzo di ferraglia simile-
-Che cosa ha che non va scusa-
-Cosa ha che non va? Ma io dico lo sai che io non sopporto le pistole straniere, soprattutto quelle schifezze fatte dai tedeschi. Crucchi bastardi. Se proprio dovevi portarne una straniera prendine una di calibro piu grosso almeno-
-Perché, una 9mm non ti basta?-
-No che non mi basta cristo santo; è un calibro fottutamente piccolo, non voglio rischiare che quando tocca a me mi faccio fuori a metà-
-Fuori a metà?-
-Non hai idea di quante volte succede, la gente si spara in testa con queste merdine, gli si spappola il cervello ma non muoiono e gli tocca vivere attaccati a un tubo per il resto della vita. Non voglio che mi succeda una cosa del genere. Hai visto kill bill?-
-Ma figurati, sono solo leggende metropolitane-
-Almeno una 45, non dico una 44, ma almeno una 45 porca troia-
-Si puo sapere di cosa state parlando –
-Stiamo parlando cara cenwyn che il tuo qui presente amico davide ha preso una pistola fatta da dei crucchi bastardi e per giunta di un calibro da sfigati rincoglioniti-
-Ti ho già detto di non chiamarmi in quel modo megastronzo-
-Ma se è il tuo nome-
-Sarà anche il mio nome ma qui ci chiamiamo con il nick-
-Ma quello è il tuo nick-
-Si però letto al contrario-
-Ma se lo hai ribaltato prendendolo dal tuo nome vero, quindi tecnicamente ti ho chiamato con il tuo nick-
-Siete veramente 2 fessi, qui stiamo parlando di cose serie e voi vi litigate per la pistola e per i nickname-
-In effetti megalex avevamo pattuito che qui ci si chiamava per nick-
-Ho capito cazzo, pure nella vita reale dovete rompere voi mod-
-Le regole sono regole-

Le regole sono regole, già proprio cosi. Una volta in un film avevo sentito dire che è da ignoranti usare la parola da definire nella definizione, ma onestamente non avevo manco capito cosa volesse dire, o meglio capivo quale era il significato globale ma se provavo a scomporre la frase mi salivano su le vertigini. Cazzo provateci anche voi, sembrava una frase ideata per mandare in corto il cervello. A parte questo a volte capita che gli incubi si trasformino in realtà, che i sogni entrino nella vita reale, e poi dopo un po tutto si ribalta completamente, però stavolta non c’erano elefanti rosa, non c’erano onde energetiche e nemmeno delle zoccole che si fanno fottere in mondo visione in mezzo ad una strada. Le uniche cose che sarebbero volate in quel posto erano le pallottole.
Cose che capitano sapete, del resto in una società in cui il 98% delle persone vive attaccato ad internet e i rapporti sociali sono quasi spariti, la rete rappresenta l’unica possibilità di attaccarsi a qualcosa. Sottili trame digitali che imbrigliano coloro che sono stanchi della vita reale. Troppe variabili indefinibili da parte di esseri imprevedibili. Le persone avevano dimenticato tutto, avevano mandato affanculo il mondo intero, cominciando a vivere solo attraverso i computer. E cosi avevo fatto io: avevo mandato a farsi fottere la realtà e vivevo attraverso queste maledette scatole fatte di pixel e circuiti. Amavo il mio computer e allo stesso tempo lo odiavo, ne ero dipendente al punto tale che vivere senza di esso sarebbe stata una sentenza di morte. Cosi un bel giorno sulla terra successe un evento che costrinse l’umanità intera a guardarsi dentro e affrontare quello che era diventata. Nessuno aveva capito che cosa fosse, i giornali ne avevano parlato, qualche fesso della nasa lo aveva annunciato che sarebbe venuta una tempesta elettromagnetica che avrebbe spento tutti i circuiti esistenti sulla terra. Nessuno volle crederci, ne io ne tanti altri. Ma alla fine successe e il mondo digitale che aveva sostituito la realtà si spense per sempre in una data che non ho intenzione di ricordare. Succede sempre cosi, ci sono delle regole a cui nessuno puo sfuggire perché piu sei attaccato ad una cosa e ne sei dipendente e piu la perdita sarà devastante. Alla fine qualcuno andò avanti e ricominciò a vivere nella vita reale, ma non io. Cosi insieme ad altri coraggiosi del forum che avevo abitato per molto tempo, forse troppo, decidemmo che le nostre vite erano finite nel giorno stesso del disastro e che la morte era l’unica opzione rimasta.
-Ma poi mi spiegate perché abbiamo deciso di venire in questo posto?-
-Avevi un’alternativa migliore forse?- rispose dixit
MI guardai intorno e quella cantina era quanto di piu osceno fosse possibile immaginare. C’era un’odore nauseabondo e un’umidità che ti penetrava nei vestiti, mancava l’aria e il tavolo intorno al quale erano seduti sembrava fosse stato usato per qualche strano rito sacrificale. C’erano delle candele appiccicate sul tavolo usando la loro stessa cera che illuminavano l’ambiente circostante donando al tutto quel misto di squallore e tenebra che ben si addiceva ad un momento come quello
-Qualunque posto è meglio di questo-
-IO non voglio stare fuori, l’aria mi da fastidio alla pelle- disse cenwyn
-Vabbè lasciamo perdere che è meglio va. Chi è che comincia per primo?-
Tutti si guardarono negli occhi per un momento e cadde un silenzio meditativo. Le fiamme delle candele danzavo nell’oscurità illuminando i volti delle 4 persone intorno al tavolo
-In genere si da la precedenza alle signore- sussurrò dixit rompendo il silenzio
Tutti gli occhi cosi si girarono verso cenwyn con un mezzo sorriso stampato sulla faccia.
-Non ci pensate nemmeno- rispose allontanandosi d’istinto dal tavolo
-Secondo me dixit ha ragione, le signore hanno la precedenza- fece eco edivad
-Andate a fanculo, brutte fighette-
-Non credi anche tu megalex che dovrebbe cominciare cenwyn?- chiesero dixit e edivad all’unisono
-MI sembra un’ottima idea-
-Siete proprio dei figli di puttana senza palle- e prese la pistola fra le mani
-Tanto come minimo ti spari e ci rimani a metà-
-Ma vaffanculo-
-Che ho detto scusa-
-Smettila di dirlo cristo santo-
-Ma è vero, quella pistola è di calibro troppo piccolo-
-Mi hai veramente rotto porca troia- urlò edivad squarciando il silenzio che albergava tranquillo in quella cantina
-Tutto il fottuto giorno che rompi le palle con questa pistola. Non ne posso piu di stare a sentire le tue lamentele. Giuro su dio che se lo dici un’altra volta ti apro il culo- continuo urlando
-Siete veramente dei bambini. Megalex smetti di provocarlo e tu stai calmo-disse cenwyn rivolgendosi prima all’uno e poi all’altro
-Ho un’idea migliore. Tiriamo a sorte per chi comincia-
Tutti e 4 fecero cenno di si con la testa. Dixit tirò fuori dei dadi dalla tasca e li mise sul tavolo
-Uno di noi tira i dadi e poi contiamo in senso orario partendo da me-
CI fù un silenzio assenso e i dadi rotolarono col loro rumore sordo sul tavolo. Venne fuori 7 e io ero il fortunato vincitore del primo giro per l’aldilà. Nessuno disse nulla ma mi guardarono con un’accenno di sorriso misto a pietà sul volto. Cenwyn mi passò la pistola, io la presi e me la puntai alla tempia. IL dito sul grilletto, la canna fredda che premeva contro la pelle e un solo un unico pensiero che mi avvolgeva impedendomi di farla finita. Cosi appoggiai la pistola lentamente sul tavolo, tirai un sospiro e sotto gli sguardi indagatori degli altri dissi
-Non ho mai perso la verginità-
Nessuno disse nulla da prima e poi edivad ruppe il silenzio
-E noi che cazzo ci possiamo fare?-
-Effettivamente non è bello andarsene cosi- disse a bassa voce dixit
-SI è vero ma qui nessuno ci puo fare nulla- rispose edivad
Al che tutti e 3 gli uomini presenti guardarono verso il basso e dopo qualche secondo le loro teste e i loro occhi si rivolsero verso l’unica donna presente intorno al tavolo.
-Non ci pensate nemmeno- disse cenwyn alzando la voce
-Ma dai che ti importa-disse dixit
-Sarebbe un’atto di carità. Ma guardalo poverino- disse edivad con un ghigno stampato sulla faccia
-Consideralo come l’ultimo desiderio cenwyn-
-Andiamo di la cristo santo-
Cosi i 2 si alzarono e andarono nell’angusto e puzzolente bagno portando dietro un candelabro sbilenco. Passò una manciata di minuti, uscirono e si rimisero intorno al tavolo.
-Sentite io mi sono rotto di queste fesserie da confessionale- disse edivad mentre prendeva la pistola dal tavolo
-Se nessuno ha qualcosa da obbiettare vado per primo io-
-Come minimo ci rimani a metà con quella pistola-
Edivad si alzo lentamente dalla sedia e con un gesto fulmineo punto la pistola verso i testicoli di megalex e esplose un colpo. Caddè di lato sul pavimento mentre si teneva le mani nella zona in cui qualche momento prima c’erano attaccati i suoi pendenti
-Ma che cazzo hai fatto- urlarono gli altri 2
-Glielo avevo detto. Era tutto il giorno che rompeva i coglioni. Vediamo se riesce a farlo anche adesso che sono diventati una poltiglia. Anzi ora che ci penso questa cosa mi ha veramente rotto-
Alzò la pistola verso la testa di cenwyn e il suo cervello venne proiettato sulla parete retrostante e prima ancora che dixit potesse dire qualcosa anche a lui toccò la stessa sorte
Poi si avvicino a megalex agonizzante e sparò un colpo alla testa pure a lui. E alla fine solo lui era rimasto. Si mise la pistola in bocca ma c’era qualcosa che non andava, qualcuno che bisbigliava. Si avvicinò prima a cenwyn e poi a dixit ma erano piu morti di giulio cesare. Poi andò vicino a megalex e con sua grande sorpresa vide che muoveva impercettibilmente la bocca come se volesse dire qualcosa. Cosi gli si avvicinò per sentire meglio
-Quella pistola è una merda-


Ecco fatto. Lo ammetto l'ho finito in corner e non l'ho manco riletto. Se non va bene la punteggiatura e ci sono delle ripetizioni cavoli vostri : Chessygrin : : Chessygrin : : Chessygrin : : Chessygrin :
Fate finta che qui ci sia scritta una frase profonda e geniale
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Re: Sfida dell'ennupla intesa

Messaggioda Edivad » 28/06/2014, 21:50

Io lo carico domani sera. Comunque noto solo ora che non avevo editato il post originale per 'ufficializzare' che erano max 15000 caratteri e 2 settimane (invece di 10000/2). Un po' tardi, ma comunque ci siamo capiti alla fine.
"Quando non dormo mi sembra quasi di vederli, i sogni, proiettati sul soffitto, mentre prendono tempo per non entrare nella mia testa."(Danilo Zanelli)
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Re: Sfida dell'ennupla intesa

Messaggioda Cenwyn » 29/06/2014, 0:31

DOVEROSO DISCLAIMER
Data la natura dei contenuti di questo racconto se ne raccomanda la lettura solo ad un pubblico adulto.
Ricordo che i fatti qui riportati sono di pura fantasia, che gli utenti descritti in questo racconto NON SONO dei delinquenti ma persone deliziose, che hanno prestato il proprio nome solo a puro scopo di divertimento e che nulla hanno a che vedere con i temi ivi trattati.


Spoiler:
Che gran brutto casino

Il metallo stridette contro il metallo mentre nel blocco del cambio la seconda veniva sostituita dalla terza.
- Ha il cambio manuale, cabrón!
Disse l'uomo seduto sul sedile del passeggero. Aveva un pesante accento ispanico... ed un alito ancora più pesante, con il quale ammorbava l'aria dell'abitacolo ad ogni respiro.
- El Dixit, porca miseria, te lo pago io un gin di qualità migliore la prossima volta... O magari delle mentine.
L'uomo sul sedile posteriore, Eddie Vadstainer represse un conato di vomito.
Il guidatore, che si faceva chiamare Megalex, accese l’autoradio, e la Trance stuprò le orecchie degli altri due. Eddie decise che era il momento di un discorsetto, e alzò la voce per sovrastare la musica.
- Il piano è facile, dovete solo cercare di non fare casini. Avete capito tutto?
Non ebbe risposta. Sbuffò, e si allungò fino a raggiungere l’autoradio e strapparne la mascherina facendo scendere il silenzio.
- Si, si ho capito. Niente casini! Ridammi quel maledetto aggeggio...
Disse Megalex, urtato dalla mancanza di fiducia dell’altro.
- Devi smetterla di ascoltare questa merda quando ti parlo!
- Non capisci niente di musica te… sei davvero un coglione. E poi non è di me che ti devi preoccupare. Parla con El Coso, lì. È lui lo stronzo di solito...
- El Dixit. Mi chiamano El Dixit. Perchè quando yo dico qualcosa, poi lo scrivo con il piombo. - lo corresse con voce biascicante l’uomo.
- Puoi farti chiamare come vuoi, ma uno stronzo sei e uno stronzo rimani. - Rispose Megalex sprezzante.
Eddie si chiese come avrebbe potuto fidarsi di quei due cervelli bruciati. Ma non aveva scelta. Come loro aveva un bisogno disperato di soldi. Come loro, aveva un debito con l’uomo sbagliato.
Si rivolse a El Dixit.
- Mi spieghi che cosa sono questi? - chiese mostrando un mucchio di stracci colorati.
- Non lo vedi, hombre? Sono i nostri passamontagna!
Eddie li prese in rassegna uno ad uno: un berretto da sci di lana verde cui qualcuno aveva srotolato il risvolto per farlo arrivare a coprire il naso e con due buchi per gli occhi, un improbabile cappello da cacciatore dai colori autunnali con copriorecchie e, dulcis in fundo, un paio di calze da donna a rete.
El Dixit scoppiò in una grassa risata.
La carretta, che nel ‘73 era stata una Buick Riviera, arrancava nel deserto, e se non perdeva pezzi per strada poco ci mancava. Arrivati alla loro meta, un locale fatiscente li accolse. L’insegna con metà delle lampadine bruciate annunciava: ogni mercoledì serata fetish.
I tre uomini infilarono i passamontagna, sollevarono al cielo un fucile a pompa, una desert eagle e un vecchio revolver e fecero irruzione al Wild Ladies.
- Non fate cazzate! Tutti a terra o sparo! - Disse quello con le calze a rete.
- Stendetevi a terra stronzi! Se fate i bravi nessuno si farà del male. - Aggiunse il secondo cercando di tenere il volto coperto tirando il berretto verde in basso.
Il terzo uomo sparò un colpo in aria sollevando le urla dei presenti.
Quattro prostitute e i due clienti si gettarono al suolo.
- Brutte, le puttane. - Constatò l’uomo con le calze a rete, andando a controllare le stanze insieme a quello col berretto verde.
Quello col cappello da cacciatore, che aveva completato il travestimento con un fazzoletto davanti alla bocca, si avvicinò col fucile ad uno di quelli a terra. Appoggiando la canna dell’arma alla sudata guancia dell’uomo lo fece voltare verso di lui per osservarlo meglio.
- Questo gordo lo conosco! Secondo me qui ci viene spesso. Vero palla de lardo?
Il grassone annuì tremante. Dalla cantina giunse la voce di uno dei delinquenti:
- Al piano di sotto tutto apposto - disse quello col berretto verde, che se l’era tirato talmente in basso da non riuscire quasi più a vedere dove stesse andando.
- Chi è questo stronzo, un tuo amico?
- Non direi proprio Mega. Questo hijo de puta è il poliziotto che ha arrestato la mia ex per adescamento. Non sono più riuscito a trovarmi una muchacha dopo lei...
- Lurido ubriacone, mi hai chiamato per nome davanti ad un poliziotto!
Il malvivente con fucile e cappello da cacciatore si voltò a guardarlo stranito.
- Non ti ho chiamato per nome, ma per soprannome! E poi neanche l’ho detto per intero! Un sopra-soprannome. - replicò seccato.
- Beh, stacci attento. E poi sei sicuro che sia lui?
L’uomo a terra piagnucolò - Non sono io!
Un violento calcio sulla bocca lo zittì facendogli saltare due denti in uno spruzzo di sangue vermiglio.
- Ti dico che è lui!!
L’uomo col fucile fece alzare il grassone. Dalle labbra rotte colava il fluido scuro.
- Il portafogli, dammi il portafogli.
Quello fece per portare la mano all’interno della giacca, ma l’altro lo fermò.
- Ma sei fuori? Se questo è un poliziotto avrà una pistola! - E con un calcio costrinse l’uomo ad appiattirsi sul freddo pavimento.
Un lungo istante di silenzio fu rotto dal singhiozzo di qualche prostituta, mentre i due pensavano al da farsi.
- Va bene, tu lo perquisisci, e io tengo d’occhio le señorite. Dio se sono brutte…
Il compagno perquisì il grassone, gli prese la pistola e il portafogli. Lesse ad alta voce:
- Agente Luis Dreamwar, Buoncostume. Avevi ragione, è proprio lui. - E sottolineò la scoperta infilando una seconda pedata tra le costole del poliziotto, che si contorse gemento.
Questo rincuorò l’uomo col fucile, che iniziò a sua volta a colpire quello a terra con ferocia maciullandogli la faccia fino a scoprire le cartilagini del naso che iniziò a schiumare sangue con un orrido rantolo.
Dall’altro lato dell’edificio una voce li raggiunse.
- L’ho trovata, andiamocene da questo posto di merda!
- Aspetta Eddie, non ci portiamo via almeno i portafogli? Ci facciamo due soldi!! - Chiese Megalex.
- Se avessero avuto soldi non sarebbero venuti qui. - Rispose l’altro, che teneva per il collo una donna più alta di lui, minacciandola col revolver.
Uscirono in fretta dal Wild Ladies. Eddie affidò la donna a El Dixit, che aveva tolto il cappello da cacciatore ma portava ancora il fazzoletto, e tirò fuori dal bagagliaio dell’auto due taniche di benzina.
- Mega: sbarra l’uscita sul retro e dammi una mano con questa roba.
El Dixit ci mise qualche istante a capire. - Cosa state facendo? Non si era parlato di matar nessuno!
Eddie non gli diede ascolto e continuò a impregnare di benzina le pareti del locale finchè il compagno non fu di ritorno, dopo di che portò alla bocca una sigaretta.
La puttana intanto aveva iniziato ad urlare disperata e a dibattersi, dando del filo da torcere al suo carceriere.
Eddie prese dal portabagagli una delle molotov che si era preparato e l’accese. Osservò ammaliato la fiammella divorare rapidamente la stoffa, la usò per accendersi la sigaretta e infine la scagliò contro la porta del locale. Una fiammata esplose investendoli di calore, e presto tutto l’edificio venne avvolto dal rogo.
- Assassini! - gridò la donna disperata.
- Questa “purga” era l’unico modo per liberarci di scomodi testimoni. - spiegò.
Qualcuno da dentro lanciò una sedia contro una finestra e cercò di mettersi in salvo, ma Eddie gli sparò e poi lanciò le taniche vuote all’interno. L’irruzione di aria fresca nel locale causò un’altra violenta vampata che crepitando sovrastò le urla di coloro che si trovavano ancora all’interno dell’edificio. Si sentirono due esplosioni.
I tre uomini salirono in auto con l’ostaggio, fecero inversione e sparirono nella notte, mentre dense volute di fumo scuro si sollevavano nel deserto.

Erika Power era alta, con un fisico atletico, una voce esoticamente profonda e sensuale, e una chioma di lunghi capelli dorati le scendeva fino al culo sodo. Era fasciata in uno straccetto rosa tutto lustrini, e al collo portava una fascetta dello stesso tessuto. Se ne stava accucciata in terra, in quella catapecchia, con le braccia legate dietro la schiena, mentre due dei suoi rapitori festeggiavano con fumo e alchol la riuscita del piano.
El Dixit la fissava senza staccarle gli occhi di dosso, con la destra sul fucile e la sinistra su una bottiglia di gin dozzinale.
- Dix smettila di guardarla a quel modo, la signora è roba di classe, mica per te.
- Sto solo facendo la guardia, Mega. Eddie non tornerà prima di qualche ora… che dovremmo fare secondo te? Conversazione?
L’altro lo guardò sprezzante. - Di sicuro non con te. A me piacciono le discussioni stimolanti, e sei ancora troppo sobrio per dire qualcosa di intelligente. Hey signorina, Erika… perchè la Yakuza ti vuole? Kaito Hakkadue in persona ci ha promesso la grazia se gli portiamo il tuo culetto sodo.
La donna ricambiò il suo sguardo, ma non rispose.
- Parla! - l’incitò El Dixit rudemente, prima di trangugiare un altro sorso.
- Ero sua. Per questo mi vuole indietro… quell’uomo pensa di poter possedere tutto. Ma io appartengo solo a me stessa.
Megalex parve soddisfatto della risposta, ma El Dixit ancora non era convinto.
- E perchè proprio te? El segñor Kaito può avere tutte le donne che vuole, tiene los dineros lui! Cos’hai te di tanto speciale?
Erika stette un attimo a pensare, infine sollevò fieramente la testa, scostando i capelli dal viso, e con i suoi neri occhi intensi fece segno a El Dixit di avvicinarsi.
Lui non se lo fece ripetere due volte, si accucciò accanto alla donna. Lei portò la morbida bocca ad un centimetro dall’orecchio e sussurrò:
- So fare cose che nessun altra donna sa fare. Conosco molto bene gli uomini, cosa da loro piacere, ogni piccola perversione. Mi vuole indietro perchè solo io so come farlo godere.
La donna si allontanò lentamente dall’uomo e aggiunse: - Liberami, e ti farò tutto quello che vuoi, perfino di più. Ti assicuro che non lo dimenticherai.
El Dixit si voltò sconvolto a guardare il compagno, che aveva intuito le intenzioni della donna.
- Non ci pensare nemmeno Dix. Questa ci vuole fregare, è del mestiere. Se le liberi braccia e gambe finisce che lei scappa e te resti con le braghe calate e una condanna a morte sulla testa. Non è saggio, amico mio.
El Dixit grugnì in approvazione e si allontanò dall’oggetto dei suoi sempre più accesi desideri, tornando ad accarezzare il suo fucile a pompa.
Ma a bottiglia finita le ragionevoli parole di Megalex avevano sempre meno presa sulla sua mente, e d’altro canto anche il compagno aveva bevuto parecchio.
E Erika Power era lì, quasi a portata di mano.
- Sai Mega… ci ho pensato. La puta ha chiaramente voglia di una ripassata, e sai che ti dico? Non serve liberarla per dargliela! Io me la sbatto così com’è.
La donna sussultò. Aveva proposto un patto, uno scambio. Non era certo disposta a concedersi a quei disperati in cambio di niente, ma purtroppo per lei l’idea piacque anche a Megalex, che entusiasta propose di unirsi a loro.
- No, ho detto che l’avrei fatto se mi aveste liberata. Non farò nulla con voi se non promettete di lasciarmi andare alla fine di tutto.
Megalex si portò al suo cospetto con in mano la pistola.
- Sai cosa? Non abbiamo bisogno del tuo permesso. Ci basta questa.
E appoggiò la canna dell’arma sulla fronte della donna a bocconi davanti a lui.
Con la mano libera sbottonò i jeans e abbassò la zip.
- Ora succhialo.
Erika era terrorizzata, gli occhi sbarrati, mentre El Dixit le barcollava intorno per posizionarsi dietro di lei. La tirò di forza per il vestito, sollevandola da terra quel tanto che bastava per prenderla con violenza da dietro.
La donna provò nuovamente con le buone - Vi prego… così non sarà bello come vi avevo promesso. Quello che intendevo…
Un violento manrovescio le fece morire il resto della frase in bocca spaccandole il labbro superiore.
- Succhialo ho detto. E vedi di farlo con tanto amore.
El Dixit si accovacciò dietro di lei e si rivolse al compagno.
- Mega, spegni la luce! Non ti voglio vedere mentre me la sbatto!
L’altro, che già godeva del trattamento della signora, sollevò la pistola e sparò tre colpi all’interruttore prima di centrarlo.
Soddisfatto El Dixit le sollevò la gonna e malgrado notevoli difficoltà riuscì ad infilare la sua canna mozza nell’intimità di Erika Power, che si lasciò sfuggire un gemito soffocato, mentre amare lacrime le rigavano le guance.
I sordi singhiozzi della donna si mescolarono ai grugniti di piacere degli uomini che con veemenza animale la possedevano nel buio di quella stanza ammuffita.
Megalex presto fu soddisfatto, ma El Dixit non ne aveva abbastanza. Con ferocia infierì sulla donna che ora urlava disperata, finchè finalmente appagato estrasse il suo attrezzo e si rese conto che era sporco di sangue. Lo pulì sul vestito di lei e si diresse alla bottiglia più vicina.
Fu in quel momento che tornò nel Eddie Vadstainer, sorprendendo El Dixit che ancora con le braghe calate si scolava il suo gin.
Eddie vide la donna, e il membro di El Dixit a penzoloni mentre trangugiava dalla bottiglia.
- Che cacchio avete fatto? Vi avevo detto di non combinare casini! Se il signor Kaito lo viene a sapere…
- Tranquillo - lo interruppe Megalex - le abbiamo solo dato una ripassata. È pur sempre una puttana, no? - Eddie era sconvolto.
- Siete due idioti! Vi siete talmente bevuti il cervello da non capire che Erika Power è un trans!
El Dixit sputò all’istante tutto il gin.
Raggiunse Erika Power, con irruenza la fece piegare e le sollevò la gonna scoprendo che effettivamente si trattava di un uomo. Ancora sanguinava dall’ano, per la forza con cui l’aveva posseduta.
Megalex scoppiò a ridere e iniziò a prenderlo in giro.
- Glie l’hai infilato nel culo, e non hai sentito neanche la differenza? Ti sei scopato un uomo, Dix! Con le palle e tutto il resto!!
I singhiozzi di pianto di Erika Power si fecero più forti. El Dixit la strattonò per i capelli… e gli rimasero in mano. La lunga, sensuale chioma della donna si rivelò una parrucca, e sotto di questa una testa calva decisamente maschile.
- Tu… mi hai ingannato, scherzo della natura!!
Le diede un pugno, e poi un’altro ed un’altro ancora, mentre gli altri gli gridavano di smetterla, la picchiò ancora e gli altri dovettero intervenire prima che trasformasse la sua faccia in un grumo di carne ed ossa. Ma la rabbia riprese il sopravvento, e riuscì a rifilarle un violento calcio al basso ventre. Dopo di questo parve acquietarsi.
- Lasciatemi! Sono calmo ora. - Disse ai compagni, e cercando di riprendere il controllo tornò al suo posto, ma il disgusto per quanto appena accaduto continuava a tormentarlo. La sola idea di aver fatto sesso con un uomo, di aver infilato il suo…
Senza nemmeno pensarci El Dixit raccolse da terra il fucile, lo rivolse verso il travestito che ansimava sanguiando al suolo e fece fuoco facendo schizzare il suo cervello sul pavimento e sulla parete.
Eddie e Mega si voltarono appena in tempo per vederlo ricaricare.
Con un colpo spiaccicò Eddie contro il muro, ma Megalex aveva estratto la pistola e gli piazzò un proiettile sulla spalla sinistra, uno sul braccio e un terzo andò a vuoto.
El Dixit sogghignò cercando di caricare il fucile con un braccio solo.
- Hai finito i colpi del tuo revolver, cabrón.
L’ispanico riuscì a ricaricare e sollevò a fatica la canna verso l’uomo di fronte a lui.
Nella catapecchia abbandonata, in quella sanguinosa notte, un ultimo sparo squarciò il silenzio.
- È una Desert Eagle, stronzo.
La vita è scoprire quello che accade dopo il presente, un po' per volta
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Re: Sfida dell'ennupla intesa

Messaggioda dixit » 29/06/2014, 12:48

Bellissima Cen! XD
ahahahahahahahah
è stupendo! Per me hai già vinto! :lol:
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Re: Sfida dell'ennupla intesa

Messaggioda dixit » 29/06/2014, 20:49

Ecco qua il mio racconto Steampulp : Chessygrin :

Il battello dei condannati.

Spoiler:
La vasca si riempì velocemente dell'acqua del mare. Il gigantesco braccio si sollevò da sopra il battello, le sue due enormi pinze lasciarono andare lo scafo con un clangore assordante. Il braccio si ritirò in un'alcova all'interno dell'hangar. Le caldaie si accesero e quando raggiunsero la temperatura di funzionamento un lungo fischio avvisò che era pronto a partire. Le paratie si aprirono e il piroscafo uscì dall'hangar, immettendosi nel bacino del porto.
– Siamo sicuri che funzionerà? – chiese Dixit, osservando il battello navigare lentamente, liberando dense nuvole di fumo nero dai camini – Arriverà qualcuno vivo a destinazione?
– Ma certo. – rispose Dreamwar, allontanandosi tranquillo dal molo – L'ho realizzato perché i suoi ospiti venissero trattati con tutti gli onori. E se qualcuno scappasse, ci penserebbero gli squali. Fidatevi della mia arte meccanica, Ispettore Dixit. Quella nave è come un orologio perfettamente regolato.

Edivad si destò e aprì gli occhi sulla branda di un'angusta cabina. La fioca luce proveniva dall'oblò e quando si avvicinò per guardare all'esterno, vide solo la superficie irregolare del mare. Il sole era al tramonto a Ovest. Niente terra all'orizzonte.
– Ma quando diamine siamo salpati?
Uscì dalla cabina e si guardò cautamente intorno. Attraversò lo stretto corridoio, salì delle scale e raggiunse il ponte. No, niente terra in vista, soltanto acqua e un preoccupante fronte nuvoloso scuro saliva da Est.
Forse doveva fuggire da lì, meditò. Non sapeva come era salito, probabilmente da ubriaco, la sera prima aveva bevuto assieme a un certo Dreamwar, un valente ingegnere e poi non ricordava com'era andata a finire. Certamente, pensò, era un clandestino e se lo avessero preso se la sarebbe vista brutta. Ma non vide scialuppe. Pessimo affare. Perché un battelo salpava senza scialuppe? Forse erano sull'altro lato, sperò.
Sudò freddo.
Strano, meditò, non aveva incontrato nessuno. Dov'erano tutti? L'equipaggio, i passeggeri?
La scia di vapore si allungava nella direzione dalla quale il battello era venuto. Il porto doveva essere molto distante, temette di aver dormito tutto il giorno.
Udì la musica attutita di un pianoforte e la seguì fino a un locale, aprì le due ante dell'ingresso e scrutò guardingo all'interno. L'ampia sala da ballo era illuminata, i tavoli distribuiti attorno alla pista centrale e un pianoforte stava in un angolo, assieme ad altri strumenti che nessuno suonava. Soltanto il pianoforte veniva usato.
Un uomo elegante lasciava che le sue mani corressero agili sui tasti, mentre la testa ciondolava lenta da una parte all'altra, seguendo la musica. Un'affascinante donzella era avvolta in un abito lungo e stretto, il tessuto rimandava mille riflessi e suggeriva le sue forme sinuose. Lei ballava da sola, rideva e reggeva un bicchiere che a malapena riusciva a tenere dritto.
La ragazza si arrestò per un momento, soffocando un'esclamazione. Fissò Edivad imbambolato, fermo all'ingresso.
– Erik, – esordì lei – abbiamo un altro ospite!
La musica s'interruppe bruscamente. L'uomo che suonava si voltò senza troppo scomporsi e lasciò il pianoforte, affiancando la giovane e mettendole un braccio attorno alla schiena. Entrambi osservarono divertiti il nuovo arrivato.
– Drink? – chiese l'uomo, indicando il bancone del bar.
– Che sta succedendo? – domandò Edivad, confuso – Dove sono tutti quanti?
– Tutti chi? – replicò la fanciulla – Siamo solo noi. Voglio dire, noi e altri tre passeggeri nascosti nella nave.
– A meno che non salti fuori qualcun altro! – aggiunse Erik.
Entrambi esplosero in una fragorosa risata.
– Sono ubriaca! – disse lei – Chi vuol ballare con me? – propose, facendo una piroetta. Il vestito turbinò in un vortice luccicante.
– Io mi chiamo Erik Bauer – proseguì l'uomo distinto – e questa dolce fanciulla è la mia carissima amica Cenwyn.
Cenwyn corse da Erik e gli buttò le braccia al collo.
– Amante! – lo corresse, sporgendo le braccia, aspettandosi un bacio – Oh, che scandalo! – aggiunse, fingendosi scioccata.
– Sei ubriaca fradicia. – concluse Erik.
Edivad avanzò nella sala, guardingo fissò i due strani passeggeri, domandandosi se fosse tutto uno scherzo.
– Il mio nome è Edivad. E l'equipaggio? Come mai siamo solo in sei?
– E chi lo sa! – esclamò Cenwyn – Ci siamo svegliati a bordo alcune ore fa. Credevo di aver guardato bene in tutte le cabine, ma non ti ho trovato. Forse ero già brilla. – commentò imbarazzata, portandosi un dito alle labbra, battendo ripetutamente le palpebre e facendo occhi da cerbiatta.
– Chi governa la nave? – chiese Edivad, scioccato.
– Nessuno. – rispose prontamente Erik – Fa da sé. Incredibile, vero? Avete dato un'occhiata in sala macchine? Non ho mai visto niente del genere. – andò al bancone e versò un bicchiere di brandy al nuovo venuto, porgendoglielo – Un capolavoro d'ingegneria meccanica. Questa nave è automatica, non necessità né di macchinisti, né di cambusieri, né di navigatore e tanto meno di Capitano!
– Non è possibile una cosa del genere! – sbottò Edivad, prendendo il bicchiere e sorseggiandone un poco. Quella era la sua colazione, non male, pensò. – Nessuno può costruire una macchina così complessa.
– Eppure qualcuno l'ha fatto! – proseguì l'uomo, con gli occhi spiritati – Pensate che a pranzo abbiamo mangiato in una tavola imbandita. E tra poco è ora di cena e sono convinto ve ne sia un'altra che ci aspetta. E non ci sono camerieri, né cuochi!
– Follia! – protestò Edivad – È tutto uno scherzo.
– Ve ne convincerete più tardi. – rispose Erik, scrollando le spalle.
– Basta chiacchiere. Voglio ballare! – esclamò Cenwyn, afferrando un braccio di Edivad e trasciandolo in mezzo la sala.
– È tutto il pomeriggio che non fai altro! – si lamentò Erik – Non tornerò al piano, sono stanco.
– Perché non suonano da soli gli strumenti? – chiese Cenwyn, costringendo Edivad a fare qualche passo di danza.
I tasti del pianoforte si mossero da soli e una musica allegra invase il locale. Da una botola spuntarono dei trespoli che sollevarono le trombe e i violini. Dei piccoli bracci meccanici presero a suonare gli strumenti, avviando l'intera orchestra.
Un colpo di pistola risuonò per l'intero battello, interrompendo il concerto. In principio credettero di aver udito un tuono, ma quando la musicà cessò l'urlo agghiacciante di una donna li attirò all'esterno.
Il cielo era coperto, plumbeo, non si vedevano le stelle e non si distingueva l'orizzonte. La nave era avvolta nella tenebra.
Le luci della nave illuminavano appena il ponte. La sagoma di una donna tremava vicino il parapetto e guardava di sotto. Il suono dei motori del battello e le onde che s'infrangevano sullo scafo coprivano i suoi singhiozzi.
– Che diamine è successo qua fuori? – domandò Megalex, avvicinandosi alla donna con circospezione, dopo essere sbucato dal nulla.
– Chi ha sparato? – chiese Erik – Raven, che ci fai con quella pistola in mano? Credevo non ci fossero armi a bordo.
Raven alzò la canna sugli astanti.
– Non osate avvicinarvi. – minacciò lei – O sparo. – aggiunse, con occhi sconvolti.
– Che ti prende? – le domandò Cenwyn, con tono spaventato – Sembri impazzita.
– Ho visto Lucky picchiare qualcuno selvaggiamente e poi gettarlo fuori bordo. C'era qualcun altro sulla nave e noi non lo sapevamo. E poi, quando Lucky ha scoperto che l'osservavo mi ha inseguito. Credevo volesse uccidere anche me, così ho estratto la pistola e…
– Lo hai colpito? – chiese Megalex, allarmato.
– Io…
– Dov'è il suo corpo? – domandò Erik.
Raven scosse la testa. – È caduto fuori bordo. Avevo paura, dovevo sparare! – esclamò, scoppiando a piangere.
Cenwyn le si avvicinò lentamente e riuscì ad abbracciarla. Raven abbassò la pistola.
Tornarono nella sala da ballo.
– Una tragedia terribile. – commentò Erik, scuotendo la testa, mentre versava un ennesimo brandy e lo porgeva a Raven, che ancora singhiozzava seduta a un tavolo.
– Su, su, non è stata colpa tua. – la consolava Cenwyn. – Lo avevo capito subito che quel Lucky era uno sbandato. Probabilmente un maniaco depresso. E lo abbiamo avuto fra noi per quasi tutto il giorno! Fatico ancora a crederci.
Megalex si rigirava fra le mani la pistola e aprendo il tamburo contava i proiettili.
– Mi dispiace per quel ragazzo. – proferì, scuotendo le spalle – Chissà cos'aveva nella testa. Non sapremo mai chi altro si trovava a bordo.
– E perché, soprattutto. – continuò Edivad, riflettendo – Qualcuno di voi ha idea del perché questa nave sia salpata e come mai solo noi ci troviamo a bordo?
Si guardarono l'un l'altro, ma nessuno rispose.
– Dobbiamo trovare il modo d'invertire la rotta e tornare al porto. – affermò Edivad.
– La nave è completamente indipendete. – spiegò Megalex – Non ho idea di come manovrarla, malgrado io sia un macchinista. È troppo complessa. Prima osservavo il timore e non credo riuscirei a muoverlo senza distruggerlo. Senza contare che la nave stessa potrebbe rivoltarsi contro di noi.
Edivad lo guardò il tralice. – Rivoltarsi? Questo battello è una “cosa”. Non sceglie cosa fare. Cosa potrebbe capitare? Ci ucciderebbe?
– Lo ha già fatto. – intervenne Erik – Voglio dire, ha ucciso l'equipaggio, è evidente.
– Come fate a dirlo? – chiese Edivad, contrariato.
– Abbiamo trovato dei cadaveri in cambusa. – spiegò Megalex, erano marinai – Ma… ho controllato meglio poco fa e sono stati freddati a colpi d'arma da fuoco. Mi riesce difficile immaginare che la nave gli abbia sparato. Potrebbe essere stato qualcun altro.
– Non guardate me! – esclamò Raven, liberando un nuovo singhiozzo.
– Dove la tenevi nascosta questa pistola? – la interrogò Megalex.
– Non si chiedono queste cose a una signora! – proruppe Cenwyn.
Un lampo illuminò le finestre, il tuono fortissimo fece tremare il piroscao. L'ingresso della sala da ballo si spalancò, spinto bruscamente dalle robuste braccia di Lucky. Questi avanzò, lasciando impronte bagnate dietro di sé.
– Qualcuno ha un asciugamano? – domandò scocciato – Ho fatto un bagno fuori programma. In qualche modo mi sono poi ritrovato di nuovo a bordo. Credo sia stata la nave a recuperarmi.
Tutti lo fissarono straniti.
Raven strabuzzò gli occhi e lo indicò terrorizzata. – Io ti ho ucciso! Non puoi essere qui. Sei un fantasma!
– Mi hai preso di striscio, per mia fortuna. Non a caso mi chiamo Lucky. – rispose, mostrando loro il suo miglior sorriso – Però mi sono dovuto gettare dal parapetto. E ho un freddo cane.
– Non sei piaciuto agli squali. – commentò Erik.
– Sono duro e stopposo. – replicò lui.
Megalex lo fermò con un cenno. – Raven ci ha raccontato una strana storia. Ti ha visto ammazzare qualcuno.
– È una balla. – si difese lui – Stavo eliminando un sacco della spazzatura.
– A pulire ci pensa la nave. – intervenne Erik – Non mentirci.
– La nave riconosce come rifiuto solo ciò che ritiene sia tale. – spiegò Lucky – Se non vogliamo qualcosa a bordo, lo dobbiamo eliminare noi stessi.
– E cosa stavi eliminando? – gli chiese Edivad.
– I cadaveri nella cambusa. – rispose lui – Prima che inizino a puzzare. Mi è venuta quest'idea all'improvviso. Voi eravate troppo impegnati a divertirvi e io mi stavo annoiando. Così ho pensato di sollevarvi da questo sporco lavoro e fare da me.
– Hai ammazzato tu i marinai? – fece Megalex.
– Ma non dire sciocchezze! – protestò Lucky – Ripetilo e ti spacco quella faccia lessa.
– State calmo! Comunque sia dovremmo verificare se dite il vero. – propose Erik, strofinandosi il mento.
Scesero nella cambusa e contarono i cadaveri. Dodici marinai morti, il numero non era variato.
– Ma porca puttana! – protestò Lucky – Ne avevo gettati tre in mare prima che quell'isterica cercasse di freddarmi!
– A chi hai detto isterica? Brutto maiale! Volevi farmi fuori, ne sono sicura! – sbottò Raven, cercando di riprendersi la pistola dalle mani di Megalex.
Cenwyn cercò di calmarla, aiutata da Erik.
– Contegno signor Lucky. – fece Edivad – Tre di questi corpi sono fradici. La nave deve averli recuperati.
– A quale scopo? – domandò Megalex – Sono solo cadaveri. Questa macchina si comporta in modo troppo strano.
– Perché è una macchina. – rispose Edivad – Null'altro. È costruita per uno scopo e tale esgue.
– Ma quale scopo? – domandò Raven, con gli occhi sbarrati.
– E soprattutto perché ha ammazzato i marinai? – chiese Megalex – Del resto, se non è stato Lucky, è stata la nave.
– Ammazzerà anche noi? – domandò Cenwyn, allarmata.
– Se avesse voluto farlo, l'avrebbe già fatto! – esclamò Erik, irritato.
– No, – spiegò Cenwyn – intendo, Lucky, ammazzerà anche noi?
– Ti ha dato di volta il cervello, lurida puttana? – sbottò Lucky, fuori di sé – Io non sono un assassino!
E così dicendo si fece strada gettando di lato Edivad e Megalex e si avventò sulla ragazza, prendendola per il collo per strangolarla.
Erik si avventò su Lucky, per fermarlo. Raven raccolse la pistola caduta a terra ed esplose due colpi mandano le cervella di Lucky a dipingere il muro.
– Ho dovuto farlo! – gridò, le sue mani tremavano vistosamente – Questa volta quel cane rognoso non tornerà dalla tomba. Nemmeno questa bagnarola può resuscitare quel bastardo!
Megalex si rialzò e cercò di prendere la pistola alla ragazza.
Lei si voltò di colpo e gli sparò allo stomaco. Megalex si piegò e finì in ginocchio. Si guardò la mano insanguinata, dolorante per il buco allo stomaco. Lei gli sparò il colpo di grazia in fronte.
– Ho dovuto farlo! – ripeté – Voleva aggredirmi! Tutti voi volete uccidermi! Siete tutti degli assassini non è così?
Erik cercava di rianimare Cenwyn, che respirava affannosamente, tossendo.
– Calmatevi signorina! – le disse, terrorizzato – Nessuno vi vuole più far del male. Andrà tutto bene, fidatevi.
– Col cavolo! – rispose lei – Ti ho riconosciuto, sai. E anche quella sgualdrina da due soldi che tieni fra le braccia. Siete due truffatori ricercati. Vi fate intestare le eredità e poi ammazzate le vostre povere vittime.
– Hai ragione. – confermò Erik – Qui siamo tutti degli efferati criminali. Anche Megalex era un assassino. Difatti a ucciso lui i suoi colleghi marinai. E sai perché? Gli è stato ordinato di farlo. Me l'ha rivelato lui, quando si è ubriacato. È stato un certo Dreamwar a dirglielo: “Uccidi i marinai, così che non sabotino la mia invenzione. Tanto sono tutti criminali.” E lo ha pagato profumatamente per farlo.
Edivad si tirò su in piedi e fissò Raven con disprezzo. – Hai ammazzato l'unico che poteva fermare il battello. Chissà dove ci stiamo dirigendo.
– Non credo potesse. – commentò Erik – In ogni caso è evidente che siamo qui per uno scopo. Tutti quanti.
Con una mossa veloce Edivad strappò alla ragazza la pistola di mano. Controllò il tamburo.
– Come pensavo, le hai finite.
– Non proprio! – esclamò lei, estraendo un piccolo revolver da sotto il vestito.
Raven non fece a tempo a vedere Erik estrarre una mitraglietta da dietro un vano e scaricarle addosso una sventagliata di colpi. La ragazza parve eseguire un passo di danza, mentre volava sulla cima della pila di cadaveri.
– Questo era di Megalex. – raccontò Erik – Sono venuto a dare un'occhiata quaggiù quando mi ha raccontato il fattaccio.
– Questa è una nave prigione, vero? – disse Edivad, sospirando – Siamo stati arrestati e siccome troppo pericolosi ci hanno messo in questo piroscafo automatizzato per raggiungere un'isola chissà dove. La nostra ultima dimora. E non possiamo nemmeno fuggire, non essendoci scialuppe. Anche usando una zattera di fortuna moriremmo di sete in mezzo al mare.
– A meno che non fingiamo di essere tutti morti. – propose Cenwyn, riavutasi.
– E come? – chiese Edivad, con un gesto di stizza.
– Prova a indovinare, figlio di puttana. – rispose Erik, puntandogli l'arma contro.
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