La vasca si riempì velocemente dell'acqua del mare. Il gigantesco braccio si sollevò da sopra il battello, le sue due enormi pinze lasciarono andare lo scafo con un clangore assordante. Il braccio si ritirò in un'alcova all'interno dell'hangar. Le caldaie si accesero e quando raggiunsero la temperatura di funzionamento un lungo fischio avvisò che era pronto a partire. Le paratie si aprirono e il piroscafo uscì dall'hangar, immettendosi nel bacino del porto.
– Siamo sicuri che funzionerà? – chiese Dixit, osservando il battello navigare lentamente, liberando dense nuvole di fumo nero dai camini – Arriverà qualcuno vivo a destinazione?
– Ma certo. – rispose Dreamwar, allontanandosi tranquillo dal molo – L'ho realizzato perché i suoi ospiti venissero trattati con tutti gli onori. E se qualcuno scappasse, ci penserebbero gli squali. Fidatevi della mia arte meccanica, Ispettore Dixit. Quella nave è come un orologio perfettamente regolato.
Edivad si destò e aprì gli occhi sulla branda di un'angusta cabina. La fioca luce proveniva dall'oblò e quando si avvicinò per guardare all'esterno, vide solo la superficie irregolare del mare. Il sole era al tramonto a Ovest. Niente terra all'orizzonte.
– Ma quando diamine siamo salpati?
Uscì dalla cabina e si guardò cautamente intorno. Attraversò lo stretto corridoio, salì delle scale e raggiunse il ponte. No, niente terra in vista, soltanto acqua e un preoccupante fronte nuvoloso scuro saliva da Est.
Forse doveva fuggire da lì, meditò. Non sapeva come era salito, probabilmente da ubriaco, la sera prima aveva bevuto assieme a un certo Dreamwar, un valente ingegnere e poi non ricordava com'era andata a finire. Certamente, pensò, era un clandestino e se lo avessero preso se la sarebbe vista brutta. Ma non vide scialuppe. Pessimo affare. Perché un battelo salpava senza scialuppe? Forse erano sull'altro lato, sperò.
Sudò freddo.
Strano, meditò, non aveva incontrato nessuno. Dov'erano tutti? L'equipaggio, i passeggeri?
La scia di vapore si allungava nella direzione dalla quale il battello era venuto. Il porto doveva essere molto distante, temette di aver dormito tutto il giorno.
Udì la musica attutita di un pianoforte e la seguì fino a un locale, aprì le due ante dell'ingresso e scrutò guardingo all'interno. L'ampia sala da ballo era illuminata, i tavoli distribuiti attorno alla pista centrale e un pianoforte stava in un angolo, assieme ad altri strumenti che nessuno suonava. Soltanto il pianoforte veniva usato.
Un uomo elegante lasciava che le sue mani corressero agili sui tasti, mentre la testa ciondolava lenta da una parte all'altra, seguendo la musica. Un'affascinante donzella era avvolta in un abito lungo e stretto, il tessuto rimandava mille riflessi e suggeriva le sue forme sinuose. Lei ballava da sola, rideva e reggeva un bicchiere che a malapena riusciva a tenere dritto.
La ragazza si arrestò per un momento, soffocando un'esclamazione. Fissò Edivad imbambolato, fermo all'ingresso.
– Erik, – esordì lei – abbiamo un altro ospite!
La musica s'interruppe bruscamente. L'uomo che suonava si voltò senza troppo scomporsi e lasciò il pianoforte, affiancando la giovane e mettendole un braccio attorno alla schiena. Entrambi osservarono divertiti il nuovo arrivato.
– Drink? – chiese l'uomo, indicando il bancone del bar.
– Che sta succedendo? – domandò Edivad, confuso – Dove sono tutti quanti?
– Tutti chi? – replicò la fanciulla – Siamo solo noi. Voglio dire, noi e altri tre passeggeri nascosti nella nave.
– A meno che non salti fuori qualcun altro! – aggiunse Erik.
Entrambi esplosero in una fragorosa risata.
– Sono ubriaca! – disse lei – Chi vuol ballare con me? – propose, facendo una piroetta. Il vestito turbinò in un vortice luccicante.
– Io mi chiamo Erik Bauer – proseguì l'uomo distinto – e questa dolce fanciulla è la mia carissima amica Cenwyn.
Cenwyn corse da Erik e gli buttò le braccia al collo.
– Amante! – lo corresse, sporgendo le braccia, aspettandosi un bacio – Oh, che scandalo! – aggiunse, fingendosi scioccata.
– Sei ubriaca fradicia. – concluse Erik.
Edivad avanzò nella sala, guardingo fissò i due strani passeggeri, domandandosi se fosse tutto uno scherzo.
– Il mio nome è Edivad. E l'equipaggio? Come mai siamo solo in sei?
– E chi lo sa! – esclamò Cenwyn – Ci siamo svegliati a bordo alcune ore fa. Credevo di aver guardato bene in tutte le cabine, ma non ti ho trovato. Forse ero già brilla. – commentò imbarazzata, portandosi un dito alle labbra, battendo ripetutamente le palpebre e facendo occhi da cerbiatta.
– Chi governa la nave? – chiese Edivad, scioccato.
– Nessuno. – rispose prontamente Erik – Fa da sé. Incredibile, vero? Avete dato un'occhiata in sala macchine? Non ho mai visto niente del genere. – andò al bancone e versò un bicchiere di brandy al nuovo venuto, porgendoglielo – Un capolavoro d'ingegneria meccanica. Questa nave è automatica, non necessità né di macchinisti, né di cambusieri, né di navigatore e tanto meno di Capitano!
– Non è possibile una cosa del genere! – sbottò Edivad, prendendo il bicchiere e sorseggiandone un poco. Quella era la sua colazione, non male, pensò. – Nessuno può costruire una macchina così complessa.
– Eppure qualcuno l'ha fatto! – proseguì l'uomo, con gli occhi spiritati – Pensate che a pranzo abbiamo mangiato in una tavola imbandita. E tra poco è ora di cena e sono convinto ve ne sia un'altra che ci aspetta. E non ci sono camerieri, né cuochi!
– Follia! – protestò Edivad – È tutto uno scherzo.
– Ve ne convincerete più tardi. – rispose Erik, scrollando le spalle.
– Basta chiacchiere. Voglio ballare! – esclamò Cenwyn, afferrando un braccio di Edivad e trasciandolo in mezzo la sala.
– È tutto il pomeriggio che non fai altro! – si lamentò Erik – Non tornerò al piano, sono stanco.
– Perché non suonano da soli gli strumenti? – chiese Cenwyn, costringendo Edivad a fare qualche passo di danza.
I tasti del pianoforte si mossero da soli e una musica allegra invase il locale. Da una botola spuntarono dei trespoli che sollevarono le trombe e i violini. Dei piccoli bracci meccanici presero a suonare gli strumenti, avviando l'intera orchestra.
Un colpo di pistola risuonò per l'intero battello, interrompendo il concerto. In principio credettero di aver udito un tuono, ma quando la musicà cessò l'urlo agghiacciante di una donna li attirò all'esterno.
Il cielo era coperto, plumbeo, non si vedevano le stelle e non si distingueva l'orizzonte. La nave era avvolta nella tenebra.
Le luci della nave illuminavano appena il ponte. La sagoma di una donna tremava vicino il parapetto e guardava di sotto. Il suono dei motori del battello e le onde che s'infrangevano sullo scafo coprivano i suoi singhiozzi.
– Che diamine è successo qua fuori? – domandò Megalex, avvicinandosi alla donna con circospezione, dopo essere sbucato dal nulla.
– Chi ha sparato? – chiese Erik – Raven, che ci fai con quella pistola in mano? Credevo non ci fossero armi a bordo.
Raven alzò la canna sugli astanti.
– Non osate avvicinarvi. – minacciò lei – O sparo. – aggiunse, con occhi sconvolti.
– Che ti prende? – le domandò Cenwyn, con tono spaventato – Sembri impazzita.
– Ho visto Lucky picchiare qualcuno selvaggiamente e poi gettarlo fuori bordo. C'era qualcun altro sulla nave e noi non lo sapevamo. E poi, quando Lucky ha scoperto che l'osservavo mi ha inseguito. Credevo volesse uccidere anche me, così ho estratto la pistola e…
– Lo hai colpito? – chiese Megalex, allarmato.
– Io…
– Dov'è il suo corpo? – domandò Erik.
Raven scosse la testa. – È caduto fuori bordo. Avevo paura, dovevo sparare! – esclamò, scoppiando a piangere.
Cenwyn le si avvicinò lentamente e riuscì ad abbracciarla. Raven abbassò la pistola.
Tornarono nella sala da ballo.
– Una tragedia terribile. – commentò Erik, scuotendo la testa, mentre versava un ennesimo brandy e lo porgeva a Raven, che ancora singhiozzava seduta a un tavolo.
– Su, su, non è stata colpa tua. – la consolava Cenwyn. – Lo avevo capito subito che quel Lucky era uno sbandato. Probabilmente un maniaco depresso. E lo abbiamo avuto fra noi per quasi tutto il giorno! Fatico ancora a crederci.
Megalex si rigirava fra le mani la pistola e aprendo il tamburo contava i proiettili.
– Mi dispiace per quel ragazzo. – proferì, scuotendo le spalle – Chissà cos'aveva nella testa. Non sapremo mai chi altro si trovava a bordo.
– E perché, soprattutto. – continuò Edivad, riflettendo – Qualcuno di voi ha idea del perché questa nave sia salpata e come mai solo noi ci troviamo a bordo?
Si guardarono l'un l'altro, ma nessuno rispose.
– Dobbiamo trovare il modo d'invertire la rotta e tornare al porto. – affermò Edivad.
– La nave è completamente indipendete. – spiegò Megalex – Non ho idea di come manovrarla, malgrado io sia un macchinista. È troppo complessa. Prima osservavo il timore e non credo riuscirei a muoverlo senza distruggerlo. Senza contare che la nave stessa potrebbe rivoltarsi contro di noi.
Edivad lo guardò il tralice. – Rivoltarsi? Questo battello è una “cosa”. Non sceglie cosa fare. Cosa potrebbe capitare? Ci ucciderebbe?
– Lo ha già fatto. – intervenne Erik – Voglio dire, ha ucciso l'equipaggio, è evidente.
– Come fate a dirlo? – chiese Edivad, contrariato.
– Abbiamo trovato dei cadaveri in cambusa. – spiegò Megalex, erano marinai – Ma… ho controllato meglio poco fa e sono stati freddati a colpi d'arma da fuoco. Mi riesce difficile immaginare che la nave gli abbia sparato. Potrebbe essere stato qualcun altro.
– Non guardate me! – esclamò Raven, liberando un nuovo singhiozzo.
– Dove la tenevi nascosta questa pistola? – la interrogò Megalex.
– Non si chiedono queste cose a una signora! – proruppe Cenwyn.
Un lampo illuminò le finestre, il tuono fortissimo fece tremare il piroscao. L'ingresso della sala da ballo si spalancò, spinto bruscamente dalle robuste braccia di Lucky. Questi avanzò, lasciando impronte bagnate dietro di sé.
– Qualcuno ha un asciugamano? – domandò scocciato – Ho fatto un bagno fuori programma. In qualche modo mi sono poi ritrovato di nuovo a bordo. Credo sia stata la nave a recuperarmi.
Tutti lo fissarono straniti.
Raven strabuzzò gli occhi e lo indicò terrorizzata. – Io ti ho ucciso! Non puoi essere qui. Sei un fantasma!
– Mi hai preso di striscio, per mia fortuna. Non a caso mi chiamo Lucky. – rispose, mostrando loro il suo miglior sorriso – Però mi sono dovuto gettare dal parapetto. E ho un freddo cane.
– Non sei piaciuto agli squali. – commentò Erik.
– Sono duro e stopposo. – replicò lui.
Megalex lo fermò con un cenno. – Raven ci ha raccontato una strana storia. Ti ha visto ammazzare qualcuno.
– È una balla. – si difese lui – Stavo eliminando un sacco della spazzatura.
– A pulire ci pensa la nave. – intervenne Erik – Non mentirci.
– La nave riconosce come rifiuto solo ciò che ritiene sia tale. – spiegò Lucky – Se non vogliamo qualcosa a bordo, lo dobbiamo eliminare noi stessi.
– E cosa stavi eliminando? – gli chiese Edivad.
– I cadaveri nella cambusa. – rispose lui – Prima che inizino a puzzare. Mi è venuta quest'idea all'improvviso. Voi eravate troppo impegnati a divertirvi e io mi stavo annoiando. Così ho pensato di sollevarvi da questo sporco lavoro e fare da me.
– Hai ammazzato tu i marinai? – fece Megalex.
– Ma non dire sciocchezze! – protestò Lucky – Ripetilo e ti spacco quella faccia lessa.
– State calmo! Comunque sia dovremmo verificare se dite il vero. – propose Erik, strofinandosi il mento.
Scesero nella cambusa e contarono i cadaveri. Dodici marinai morti, il numero non era variato.
– Ma porca puttana! – protestò Lucky – Ne avevo gettati tre in mare prima che quell'isterica cercasse di freddarmi!
– A chi hai detto isterica? Brutto maiale! Volevi farmi fuori, ne sono sicura! – sbottò Raven, cercando di riprendersi la pistola dalle mani di Megalex.
Cenwyn cercò di calmarla, aiutata da Erik.
– Contegno signor Lucky. – fece Edivad – Tre di questi corpi sono fradici. La nave deve averli recuperati.
– A quale scopo? – domandò Megalex – Sono solo cadaveri. Questa macchina si comporta in modo troppo strano.
– Perché è una macchina. – rispose Edivad – Null'altro. È costruita per uno scopo e tale esgue.
– Ma quale scopo? – domandò Raven, con gli occhi sbarrati.
– E soprattutto perché ha ammazzato i marinai? – chiese Megalex – Del resto, se non è stato Lucky, è stata la nave.
– Ammazzerà anche noi? – domandò Cenwyn, allarmata.
– Se avesse voluto farlo, l'avrebbe già fatto! – esclamò Erik, irritato.
– No, – spiegò Cenwyn – intendo, Lucky, ammazzerà anche noi?
– Ti ha dato di volta il cervello, lurida puttana? – sbottò Lucky, fuori di sé – Io non sono un assassino!
E così dicendo si fece strada gettando di lato Edivad e Megalex e si avventò sulla ragazza, prendendola per il collo per strangolarla.
Erik si avventò su Lucky, per fermarlo. Raven raccolse la pistola caduta a terra ed esplose due colpi mandano le cervella di Lucky a dipingere il muro.
– Ho dovuto farlo! – gridò, le sue mani tremavano vistosamente – Questa volta quel cane rognoso non tornerà dalla tomba. Nemmeno questa bagnarola può resuscitare quel bastardo!
Megalex si rialzò e cercò di prendere la pistola alla ragazza.
Lei si voltò di colpo e gli sparò allo stomaco. Megalex si piegò e finì in ginocchio. Si guardò la mano insanguinata, dolorante per il buco allo stomaco. Lei gli sparò il colpo di grazia in fronte.
– Ho dovuto farlo! – ripeté – Voleva aggredirmi! Tutti voi volete uccidermi! Siete tutti degli assassini non è così?
Erik cercava di rianimare Cenwyn, che respirava affannosamente, tossendo.
– Calmatevi signorina! – le disse, terrorizzato – Nessuno vi vuole più far del male. Andrà tutto bene, fidatevi.
– Col cavolo! – rispose lei – Ti ho riconosciuto, sai. E anche quella sgualdrina da due soldi che tieni fra le braccia. Siete due truffatori ricercati. Vi fate intestare le eredità e poi ammazzate le vostre povere vittime.
– Hai ragione. – confermò Erik – Qui siamo tutti degli efferati criminali. Anche Megalex era un assassino. Difatti a ucciso lui i suoi colleghi marinai. E sai perché? Gli è stato ordinato di farlo. Me l'ha rivelato lui, quando si è ubriacato. È stato un certo Dreamwar a dirglielo: “Uccidi i marinai, così che non sabotino la mia invenzione. Tanto sono tutti criminali.” E lo ha pagato profumatamente per farlo.
Edivad si tirò su in piedi e fissò Raven con disprezzo. – Hai ammazzato l'unico che poteva fermare il battello. Chissà dove ci stiamo dirigendo.
– Non credo potesse. – commentò Erik – In ogni caso è evidente che siamo qui per uno scopo. Tutti quanti.
Con una mossa veloce Edivad strappò alla ragazza la pistola di mano. Controllò il tamburo.
– Come pensavo, le hai finite.
– Non proprio! – esclamò lei, estraendo un piccolo revolver da sotto il vestito.
Raven non fece a tempo a vedere Erik estrarre una mitraglietta da dietro un vano e scaricarle addosso una sventagliata di colpi. La ragazza parve eseguire un passo di danza, mentre volava sulla cima della pila di cadaveri.
– Questo era di Megalex. – raccontò Erik – Sono venuto a dare un'occhiata quaggiù quando mi ha raccontato il fattaccio.
– Questa è una nave prigione, vero? – disse Edivad, sospirando – Siamo stati arrestati e siccome troppo pericolosi ci hanno messo in questo piroscafo automatizzato per raggiungere un'isola chissà dove. La nostra ultima dimora. E non possiamo nemmeno fuggire, non essendoci scialuppe. Anche usando una zattera di fortuna moriremmo di sete in mezzo al mare.
– A meno che non fingiamo di essere tutti morti. – propose Cenwyn, riavutasi.
– E come? – chiese Edivad, con un gesto di stizza.
– Prova a indovinare, figlio di puttana. – rispose Erik, puntandogli l'arma contro.