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Oniric Tales: racconti da onironauti

Messaggioda Sonme » 18/10/2015, 22:23

... Allora....
Tempo fa mi venne un'ispirazione e mi venne la bizzarra idea di scrivere un racconto (racconticelloncino : Chessygrin : ) a tema sogni lucidi. Qualche giorno fa ho deciso di riprenderlo e pubblicarlo sul forum...
Ora, arrivando velocemente al punto, l'idea sarebbe, con il vostro contributo di riuscire (magari xD) a scrivere una serie di racconti da onironauti, come esplicitato appunto dal titolo.
Mi immagino già le "Novelle Lucide - I Grandi Classici degli Onironauti" :lol:
Senza grande ambizione propongo quindi di scrivere una serie di storielle che raccontino la vita di noi onironauti, e soprattutto storielle che probabilmente solo noi onironauti possiamo capire : WohoW :
Dunque sbizzarritevi sognatori, e che la fantasia sia con voi.

Vi posto subito qui il mio racconticelloncino (è uno dei miei primi esperimenti della mia improbabile vita da scrittore quindi sono anche un po emozionato :oops: )



L'onironauta sbadato
Un giorno Arthur tornò a casa particolarmente stanco. Quella sera sarebbero arrivati i suoi a mangiare da lui e doveva ancora finire di preparare il dolce. Si mise subito a cucinare.
Da vero maestro si muoveva per la cucina con grande agilità e in poco tempo la torta fu in forno.
Finalmente poté buttarsi sul suo comodo divano, non più tanto comodo, deteriorato dalla sua empia presenza.
Accadde tutto molto velocemente, quasi involontariamente, anche se il desiderio sotto sotto c’era: la paralisi del sonno arrivò puntualmente, con la sua piccola scossa segnalatrice dell’imminente avvento. Le vibrazioni si manifestarono fortissime quel giorno, come le ipnagogiche. Le immagini gli mostravano un luogo noto: era la strada che percorreva molti anni prima, quando era adolescente, per andare a scuola. Ovviamente poteva notare grossi dettagli che evidenziavano l’irrealtà di quella visione.
In un batter d’occhio si trovò circondato da quello che lui amava chiamare il suo “mondo personale”, le ipnagogiche avevano dato luogo al sogno.
Gli alberi respiravano, gonfiavano e sgonfiavano il loro "petto" al ritmo del suo stesso respiro. Per strada non vi erano auto, ad eccezione di una piccola vettura rossa, di indefinibile marca, guidata da un bambino. Si diresse a passo deciso verso la scuola, ma poté ben presto constatare che più passi faceva più la strada sembrava allungarsi. Trovò immediatamente la soluzione : con un battito di ciglia e la forza dell’immaginazione si teletrasportò dinanzi al cancello, aperto.
Lì un uomo alto sulla quarantina fumava. Lo salutò e la risposta fu, come di norma, stravagante:
“Il fumo fa male… agli uomini…”
Arthur sorrise, “Certo, e perché fumi?”
“Beh, io sono un personaggio onirico, mica un uomo, posso fumare quanto voglio”… logico…
Arthur lasciò il PO a parlare da solo sul fatto che i visitatori del mondo onirico non dovrebbero fumare, perché troppo inconsapevoli e sbadati, cosa paradossale, visto che Arthur era lucido in quel momento.
Entrò nella scuola. Le scalinate dell’ingresso, quel giorno avevano deciso di essere mobili. Il corridoio era gremito di bambini troppo calmi per essere veri. Si muovevano a formare una sorta di processione verso un punto indefinito del corridoio, che era lungo chilometri.
Si alzò in volo. Sotto di lui una bidella impazzita, in mezzo alla calca di bambini indifferenti gli urlava che volare era contro il regolamento.
Arrivò al secondo piano passando attraverso il pavimento. Qui il corridoio era vuoto. Si accorse subito che le scalinate che avrebbero dovuto essere a pochi metri alla sua destra non c’erano. Si trovava quindi in una stanza infinitamente lunga di marmo, senza via d’uscita.
Un bambino, l’unico, stava con lo sguardo perso davanti alla sola finestra presente nella stanza. Era lo stesso che aveva visto prima guidare l’automobile rossa. Sembrava che il suo subconscio avesse premeditato questo incontro.
Arthur diede iniziò al dialogo in modo cauto… con certi PO bisogna essere premurosi:
“Che fai?”
“Aspetto il mio creatore”.
“Il tuo creatore?”.
“Mio padre… è sempre in ritardo…”
“Probabilmente avrà molte cose da fare…” Azzardò… Non sapeva perché, ma quella conversazione lo metteva a disagio.
“No, si è dimenticato di me, in questo momento sta dormendo”… Una certezza gli balenò in mente: era lui, Arthur, il padre del bambino… e a quanto diceva il bambino, si stava dimenticando qualcosa… Sono rari i momenti in cui l’inconscio gli faceva presente cose come questa, e sicuramente si trattava di qualcosa di importante: doveva andare a fondo.
“Pensa che ho conosciuto un genitore che si era dimenticato del suo dolce bambino” continuò il giovane PO … Così però non lo aiutava…
“Ecco guarda, è lì!”, gli indicò un palazzo in fiamme che Arthur prese a osservare subito attentamente, “Se l’è dimenticato lì! Sta bruciando!” il bambino cominciava ad agitarsi e la cosa non gli piaceva.
Il palazzo bruciava a tutto spiano, poteva addirittura sentirne la puzza… Insolito: nei suoi sogni in genere l’olfatto era completamente assente.
Diede uno sguardo al bambino: sudava… o meglio, colava! Goccioline gli scendevano da tutto il corpo, anche dai vestiti, come fossero parte integrante di lui…
“Quale padre dimenticherebbe il proprio figlio nel forno?...” Queste furono le ultime disperate parole del bambino, che ormai somigliava di più a una pozzanghera rosa sul pavimento, che fecero capire a Arthur dove il piccolo PO voleva arrivare: “Maledizione, la torta!!!”
Si svegliò immediatamente col cuore in gola, senza passare per la paralisi.
Ma era già troppo tardi.






Ecco qua :oops: , a voi : Chef :
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Re: Oniric Tales: racconti da onironauti

Messaggioda Searig » 20/10/2015, 18:10

Il finale a sorpresa è bellissimo! :D

Spoiler:
: Chef : :sleep: :angry:
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Re: Oniric Tales: racconti da onironauti

Messaggioda NovaKZ » 20/10/2015, 18:13

Ti giuro che mi è venuto un deja vu incredibile quando l'ho visto
I want something more, I life worth fighting for
I don't need a reason, to set the world on fire
And burn a little bit brighter now
....
It's a brand new day, it's never too late to start

against the current
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Re: Oniric Tales: racconti da onironauti

Messaggioda fcm19 » 20/10/2015, 19:01

Molto bello il tuo racconto, Sonme! Mi piace! :)
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Re: Oniric Tales: racconti da onironauti

Messaggioda Sonme » 20/10/2015, 19:31

Grazie mille ragazzi! : greeting :
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Re: Oniric Tales: racconti da onironauti

Messaggioda LCyberspazio » 28/10/2015, 0:26

Salve a tutti,
aggiungo quì il mio nuovo racconto che verte sul tema dei sogni. Dalla mattinata e per i prossimi 3 giorni sarà disponibile per il download gratuito. Spero che lo scaricherete in molti e soprattutto che mi farete sapere il vostro parere a riguardo. :)

LINK: http://www.amazon.it/gp/product/B01775A21W?*Version*=1&*entries*=0

TITOLO: Sogno lucido - il sogno, la ragazza e il Revenant

Sinossi:
Ray si è trasferito ad Eastmeria da poco. Odia la città, odia la scuola ed odia i suoi compagni di classe. La sua vita pare grigia come i fumi dell'acciaieria che da sostentamento agli abitanti di quel luogo ma un giorno fa la conoscenza di Gillian, una ragazza gioviale, sul cui animo grava però un grande segreto.
Ray da quel momento non sarà più solo e percorrerà la sua grande avventura a cavallo tra il sogno e la realtà, per Gillian, per i suoi amici e per Eastmeria tutta.
Se siete appassionati di onironautica e sogni lucidi, questo racconto vi piacerà.


sognolucido.jpg
sognolucido.jpg (22.96 KiB) Osservato 8574 volte


Una piccola avvertenza:
so che in questo forum siete esperti di onironautica ma nel racconto, essendo un fantasy urbano ma pur sempre fantasy, ho costruito un mondo onirico con determinate regole che ovviamente possono anche allargarsi molto dallo studio scientifico. Spero mi perdonerete tutte le licenze che mi sono preso nella redazione del testo : Indian:
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Re: Oniric Tales: racconti da onironauti

Messaggioda Sonme » 28/10/2015, 14:27

Bella cyber :) oggi appena accendo il computer sarà la prima cosa che farò :)
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Re: Oniric Tales: racconti da onironauti

Messaggioda dixit » 28/10/2015, 19:34

Scaricato!
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Re: Oniric Tales: racconti da onironauti

Messaggioda PK2 » 28/10/2015, 20:11

Era la terza volta che la incontrava, e l’attrazione per lei non era affatto diminuita. Beninteso, c’era sempre quella sensazione, quell’idea di pericolo che rendeva off limit l’idea di avvicinarsi. Però allo stesso tempo percepiva l’eccitazione della novità e l’idea, sotto la pelle, che nascondesse misteri affascinanti.
Strofinò tra loro le mani e si guardò rapidamente intorno. Era solo, l’orizzonte appariva sgombro e soltanto un lieve addensarsi in lontananza dell’aria azzurrognola dava l’idea della distanza. La luce che vedeva era innaturale, se non altro perché non gettava ombre e sembrava materializzarsi da ogni luogo: ovunque guardasse, sempre quella luminescenza biancastra che a tratti virava verso l’azzurro per poi cedere di nuovo al bianco opaco.
E di fronte lei, alta e impassibile, immobile nel suo silenzio. Anche quella volta ebbe l’impressione che lo sfidasse a fare il primo passo, ma anche quella volta qualcosa lo trattenne.
Era stata una settimana piuttosto faticosa, si avvicinava la fine del quadrimestre e i professori si erano improvvisamente ricordati che mancavano all’appello diverse interrogazioni. Soprattutto si erano accorti che la maggior parte dei vuoti nel registro di classe riguardavano lui, e avevano iniziato un assedio serrato al suo castello arroccato nell’ultimo banco, sgretolando le sue mura con armi dal nome terribile e dall’effetto anche più spaventoso: matematica, italiano, inglese, geografia astronomica, filosofia. Anche il professore di religione, alla cui ora non aveva rinunciato per pura pigrizia, pareva posseduto dall’idea di saggiare la sua spiritualità (o qualunque cosa si valutasse nella sua materia), che sospettava essere prossima a quella di un’ameba.
Il primo giorno di quel tragico periodo era riuscito quasi a scamparla, chiedendo al prof di matematica di andare al bagno all’inizio dell’ora e standoci un tempo che parve fornirgli una certa protezione. Al suo rientro in classe si era trovato addosso gli occhi dei suoi compagni puntati come mitragliatrici, e il professore gli aveva indicato la lavagna come si può indicare il patibolo a un condannato. Dopo di allora non aveva più avuto scampo e c’erano giorni in cui si era ritrovato a tornare a casa quasi barcollante, dopo tre o quattro interrogazioni di fila.
Però se Dio voleva la settimana era finita, e ora aveva tutto il sabato e la domenica da dedicare a quella bellezza, eccitante e tentatrice come solo una strega può esserlo, e allo stesso tempo distante e minacciosa. Pensò a qualcosa da fare, sentiva l’urgenza di muoversi e sapeva che il tempo stava per scadere irrimediabilmente. All’idea che avrebbe potuto non rivederla, che quella poteva essere l’ultima volta che la incontrava, gli si strinse il cuore e capì che non l’avrebbe permesso. Si disse a voce alta che non poteva succedergli niente, che era solo un sogno.
Percorse alcuni passi, si voltò un’ultima volta, quindi varcò la soglia della porta.
-------------------------
All’inizio il paesaggio non sembrò cambiare di molto, si ritrovò immerso nella stessa distesa di bruma azzurrognola e luce opaca. Non riuscì a reprimere un moto di delusione, tutto quel tergiversare per rientrare in un sogno ordinario: cosa si aspettava di trovare? Poi sentì il terreno cedere ed ebbe l’impressione di scendere da una collina. Non gli venne in mente di volare e comunque si trovò quasi subito in un’altra scena. Quando stabilizzò lo sguardo si meravigliò per l’ambientazione, stupefacente anche per gli standard dei suoi sogni. Non che ci fossero cose troppo anomale, draghi o altre stranezze, anzi si trovava in una scena abbastanza ordinaria: alberi, pietre, un ruscello che si gettava in un laghetto con una elegante cascatella. Non era quello che lo stupì facendogli sgranare gli occhi (per quanto si possano sgranare gli occhi in un sogno). Furono i colori fuori del comune a catturare il suo sguardo: sembrava che ogni oggetto riverberasse tutti i colori dell’arcobaleno, vividi e sgargianti, mutevoli come i riflessi della pelle di un serpente. Non c’era sasso o foglia o tronco d’albero che non vibrasse di quest’abbondanza di riflessi cromatici. Pensò che forse era l’effetto che poteva dare qualche droga allucinogena, certo era una novità per lui. Lo stupore per l’ambientazione non gli fece dare peso al fatto che intorno non vi fossero personaggi onirici, pensiero che comunque percepì come una leggera inquietudine nelle pieghe della mente. Osservò la cascatella precipitare per un paio di metri fino al laghetto sollevando una nuvola di brillantini iridescenti, come un fuoco artificiale sparato dall’alto verso il basso. La luce ora era forte e mutevole, colma di riflessi e quasi vibrante. Si strofinò di nuovo le mani ma si sentiva lucido e stabile nel sogno, anzi, ebbe l’impressione che avrebbe potuto trattenersi lì ancora a lungo, e questo fece per un attimo risalire alla coscienza il filo d’inquietudine che era rimasto fino ad allora sopito appena sotto la soglia della sua percezione. Fece comunque una manovra di stabilizzazione e si addentrò in un piccolo boschetto, cercando di catturare quanti più particolari potesse di quell’ambiente onirico. Il bosco diventò più fitto e ora i colori sembravano circondarlo e farsi sempre più vicini, quasi minacciosi. Gli sembrò di essere immerso in un mare iridescente, e pensò che quella mancanza di punti di riferimento poteva molto facilmente portarlo a smarrirsi. Si rese conto che doveva aver perso un poco di lucidità, perché l’idea di smarrirsi in un sogno non aveva tanto senso. Eppure l’inquietudine rimase ancora presente, come un monito che perdurava.
Finalmente arrivò a una piccola radura e si sentì suo malgrado sollevato. Istintivamente si portò al centro esatto del piccolo spiazzo e osservò rapidamente intorno. Se avesse immaginato qualcosa di simile al Paradiso terrestre, probabilmente sarebbe stato come quello. Pensò che non poteva esserci un paradiso senza Eva, e il pensiero gli provocò un’ondata di desiderio. Si concentrò per far comparire una giovane donna, ma non successe nulla. Non era un sogno controllato. Chiuse gli occhi, contò fino a tre, poi li riaprì. Ancora nulla. Stava per riprovare quando qualcosa attirò la sua attenzione. Non era un rumore né un movimento, semplicemente sentiva qualcosa che si avvicinava, nascosta nel bosco e invisibile ai suoi occhi. Per qualche ragione ebbe paura, un timore che non riusciva a tener sotto controllo e che, lo sapeva, poteva portarlo rapidamente alla destabilizzazione del sogno e al risveglio. Quasi desiderò che accadesse, perché senza volerlo si ritrovò a correre lontano da quello che percepiva come un pericolo incombente, e gli sembrò di non avere più controllo del suo corpo onirico. Semplicemente il suo corpo aveva deciso di scappare e a lui non restava che osservare il paesaggio scorrergli intorno come osservando al cinema la soggettiva di una telecamera. Si ritrovò di nuovo immerso nel mare di colore e non vide altro che uno schermo di punti colorati che vibravano impazziti davanti ai suoi occhi, poi all’improvviso un’altra radura. Aveva riacquistato il controllo del suo corpo e quindi decise di fermarsi. Si ripeté che non c’era nulla da temere, che era solo un sogno. Però si posizionò di nuovo al centro esatto dello spiazzo, quindi tanto tranquillo non doveva sentirsi. Concentrò lo sguardo nel folto del bosco, nel punto da cui era giunto ma non gli riuscì di scorgere nulla. Dopo qualche minuto iniziò a tranquillizzarsi e a ragionare. Perché aveva avuto paura? Soprattutto perché non aveva pensato alla cosa più ovvia, cioè scappare in volo, o magari trasformarsi in un supereroe dai superpoteri e fronteggiare qualunque cosa gli si accostasse. Quello che però lo lasciava interdetto era il modo in cui aveva perso il controllo del suo corpo onirico, che aveva deciso di fuggire per suo conto, aldilà della sua volontà. Era così assorto in quei pensieri che il tocco della mano sul braccio lo fece sobbalzare. Si girò e si trovò di fronte Elena, la sua compagna di classe preferita. Questo lo sollevò e gli fece piacere: dunque poteva materializzare personaggi onirici e, soprattutto, personaggi che desiderava incontrare in sogno. Non si nascondeva di avere una cotta per Elena, e numerose volte aveva indirizzato le suggestioni mentali con lo scopo di farla apparire in sogno, ma senza esito. Almeno, fino ad allora. La osservò in viso e le parve turbata. A guardarla bene non era Elena, anche se i tratti gentili le ricordavano lei. Le sopraciglia erano sottili e leggermente incurvate verso l’alto, le labbra sensuali e piene, ma non come quelle artificiali, pompate di botulino. Erano simili alle labbra che aveva tanto desiderato baciare, nelle ipnotiche mattinate dell’ultima ora, quando la voce monotona del professore sembrava un invito al sogno ad occhi aperti. C’era però nello stesso tempo qualcosa di diverso, anche se non riusciva a capire cosa fosse. Dopo un rapido esame concluse che le somigliava, ma non poteva dirsi lei. In quel momento la ragazza gli strinse il braccio con una presa sorprendentemente forte e disse: “Che ci fai tu qui?”
Non era esattamente quello che aveva immaginato da quell’incontro e non trovò nulla da rispondere, e comunque non ne ebbe il tempo perché lei gli prese la mano e lo trascinò letteralmente via. Mentre correvano nel solito tunnel di colori sentiva la freschezza della mano della ragazza nella sua e in qualche modo questo lo rassicurò. Dentro di se ancora sperava in una prosecuzione del sogno più congeniale, magari appartarsi insieme in qualche angolo tranquillo e giocare ad Adamo ed Eva. La frenesia con cui lei lo trascinava però lo riportò alla realtà, anzi al sogno. Percepiva di nuovo il pericolo incombente che si avvicinava, sempre più vicino dietro di loro. La corsa si era trasformata di nuovo in fuga e questa volta temeva sarebbe stata l’ultima. Un terrore folle e irrazionale lo prese, di quelli che vivono solo nei sogni. Ormai pensava solo a correre, il contatto con la mano della ragazza era sempre più impercettibile, mentre la cosa che li seguiva incombeva sempre di più, stava per raggiungerli. Finalmente, quando ormai si sentiva quasi ghermito da quel mostro sconosciuto, si voltò, mentre si sentiva tirato in alto da una forza incontrastabile. Tutto divenne nero, e i colori che avevano brillato così prepotentemente fino ad allora, si spensero di colpo.
-------------------------
Si svegliò trafelato, seduto sul letto della sua camera, ancora con la sensazione di quel terrore inarrestabile nella mente. Per un attimo fu stupito di trovarsi lì, come se il sogno fosse la realtà e la sua cameretta, con i poster di Vasco Rossi e la console dei videogiochi, solo un mondo immaginario. Poi poco a poco recuperò la consueta lucidità e si svegliò del tutto. Era stato solo un sogno lucido, ma quante emozioni si era portato appresso! Ripensò alla ragazza incontrata nel sogno, quella che somigliava a Elena, perché non voleva ripensare alla cosa che l’aveva ghermito. Non era inusuale che avesse incubi, ma era davvero raro che questi avvenissero quando era lucido, e in genere riusciva a trasformare il sogno in modo tale da modificarlo, oppure girava su se stesso per cambiare lo scenario. Invece quel sogno sembrava fuori dal suo controllo, proprio come fuori dal controllo è la realtà di sempre. Sembrava un’altra dimensione, sia pure con le sue regole, e forse per quello si era sentito così spaesato al risveglio.
Si scosse e scese dal letto, non prima di aver scritto sul diario dei sogni quell’ultima avventura. Rilesse il sogno e notò che aveva battezzato la ragazza “Eva”, senza pensarci troppo su. Sarebbe stata Eva dunque, e mentre ripensava a lei sentì forte il desiderio di rivederla, anche se questo avrebbe forse significato trovarsi di nuovo a tu per tu con “la cosa”.
Fece colazione rimuginando gli avvenimenti della notte, tanto che la madre gli chiese se avesse ancora interrogazioni, quel giorno. Poi la routine del lunedì lo prese, e dopo la prima ora di lezione i contorni della sua avventura erano già sfumati e impalpabili, e la paura che aveva provato gli sembrò puerile e irrazionale. Elena stava concentrata al primo banco, scrivendo dei rapidi appunti sul quaderno o rileggendo le frasi scritte prima. Lui non sapeva neppure quale fosse l’argomento della lezione, perciò non doveva essere importante. Tanto il quadrimestre se l’era bello che giocato, non poteva far altro che sperare nelle sue capacità di recupero e negli “studi matti e disperatissimi”, per citare Leopardi, che in genere accompagnavano gli ultimi mesi di lezione. Lo consolava che se l’era sempre cavata con qualche debito formativo e i rimbrotti di sua madre, che ancora sperava mettesse finalmente la testa a posto. Prese un foglio per darsi un tono e iniziò a fare scarabocchi, sbirciando ogni tanto le cosce di Elena, appena nascoste dalla gonna corta che indossava quel giorno. Restò un attimo interdetto quando una pallina di carta piombò improvvisamente sopra il suo foglio. Si girò e vide il ghigno cattivo di Schiavoni, il compagno di classe più antipatico che uno potesse pensare di avere. Gli fece un gestaccio ma quello in tutta risposta gli gettò addosso un’altra pallina di carta. Senza pensarci troppo ricambiò il favore, poi la situazione gli parve così inconsueta che ricordò di fare il solito test di realtà. Immaginò di essere in un sogno, guardò le cosce di Elena ed ebbe una precisa idea di cosa avrebbe potuto fare se fosse stato davvero in un sogno, poi si tappò il naso e inspirò. Lo prese una scossa che lo lasciò per un attimo stupefatto e gli fece dimenticare anche Schiavone, che nel mentre gli aveva gettato un’altra pallina di carta. Tappò di nuovo il naso e respirò, questa volta più cautamente. Non c’era dubbio, riusciva a respirare! Strinse il naso più forte che poteva, fino a sentire un dolore acuto, poi inspirò di nuovo per la terza volta. Quindi premette l’indice sul palmo della mano e rimase immobile per diversi secondi a osservare il bozzo rosso che era spuntato sul dorso, il bubbone che ormai conosceva così bene avendolo sperimentato decine di volte nel sonno.
Non c’era dubbio: stava sognando!
Invece di galvanizzarlo la cosa lo preoccupò: un falso risveglio era davvero l’ultima cosa che si sarebbe aspettato in quella giornata così ordinaria. Si guardò di nuovo intorno e pensò che quella era veramente il modo in cui bisognava guardare le cose prima di un test di realtà: come se tutto quello che ci circonda faccia parte di un sogno. Solo che questa volta il mondo appariva troppo reale per poter essere un semplice sogno lucido. Si alzò e si avviò verso il primo banco, provocando l’immediata interruzione della lezione e concentrando gli sguardi dei compagni su di sé.
“Che c’è, Guidi, vuoi venire per caso volontario all’interrogazione?” disse il professore.
Sentì i risolini dei compagni ma non se ne preoccupò. Si rivolse invece direttamente ad Elena e disse: “Siamo in un sogno, sto sognando e tu sei nel mio sogno!”
Lei lo guardò un attimo, arcuando ancora di più le sopracciglia, in un modo che gli ricordò Eva, quando l’aveva visto solo nella radura.
“Non dire sciocchezze!”
In un’altra occasione avrebbe spiccato il volo per dimostrarglielo, ma ora non si sentiva sicuro di poterlo fare. Non era sicuro di poter fare qualsiasi cosa e questo, lo sapeva, in un sogno era il modo migliore per non riuscire a farlo.
“Siamo in un sogno, ti dico, mi sono tappato il naso e respiro.”
“Se è uno scherzo non mi piace, Guido, ci stanno guardando tutti.”
Per un attimo pensò di essersi sbagliato, che gli infallibili test di realtà avessero fallito. Non che non fosse già successo, ma in genere fallivano di indicargli lo stato di sogno, non lo stato di veglia!
Pose la mano davanti al viso di Elena e con decisione premette il dito nel mezzo del palmo, fissandola negli occhi.
“Guarda!”
Lei spostò lentamente lo sguardo dalla mano al suo viso, e aveva un’espressione triste, quasi di compassione. Guido guardò la mano e si sentì gelare: nessun rigonfiamento, niente di anormale. Un banale, dannato dito che preme un banale, dannato palmo di mano. E una banale figuraccia di merda, pensò, mentre tornava silenziosamente al suo posto.
Schiavone rideva sfacciatamente e lui senza pensarci materializzò una mela e gliela gettò addosso. Improvvisamente tutti lo guardavano di nuovo, ma con un’espressione diversa, l’espressione di sorpresa che potrebbe manifestare un manichino, o un attore a cui tolgono la scena da sotto i piedi.
L’espressione di un personaggio onirico.
Non si fece ingannare di nuovo e tornò davanti a Elena, ignorando gli altri. Senza troppe spiegazioni le prese la mano e la trascinò fuori dalla classe e poi dalla scuola. Ebbe il ricordo di Eva che prendeva allo stesso modo la sua mano nella radura, un deja vu a parti invertite. Nel mentre la sua mente galoppava a cento all’ora, senza però riuscire a focalizzare alcun pensiero. Come era possibile un falso risveglio così lungo e reale? L’ora passata in classe era stata veramente un’ora, avrebbe potuto contare i secondi dal numero di sbadigli che aveva fatto e dalle occhiate lanciate a Elena seduta al primo banco. Forse era impazzito, forse aveva fatto così tanti sogni lucidi che non distingueva più il sogno dalla realtà.
“Dimmi, sono impazzito?” chiese a Elena.
“Sì.”
La guardò e lei sorrideva in un modo che gli addolcì la preoccupazione. Istintivamente abbassò lo sguardo alla gonna, che si sollevava nell’impeto della corsa scoprendole a tratti le gambe. Lei sembrò intuire il suo sguardo perché arrossì un poco.
“Possiamo fermarci adesso?” gli chiese con un tono che lo fece sentire stupido.
“Certo, certo, scusa… ehm… sediamoci lì magari.”
Sedettero su una panchina e lui rimase indeciso sul da farsi, e dato che non sapeva dove guardare i suoi occhi tornarono da soli su Elena.
“Lo capisco sai che devo sembrare impazzito, anche io credo di non essere proprio in forma. Eppure il test di realtà non mente, almeno, non quando sei sveglio.”
Elena non rispose, aprì la mano come vedendola per la prima volta, poi premette con decisione il dito in mezzo al palmo. Il dito fuoriuscì interamente dall’altro lato. Guido si chiese se non fosse lui nel sogno di Elena, poi pensò che stava iniziando a vaneggiare. E’ chiaro che nel sogno accade quello che ognuno si aspetta che accada, e che Elena era soltanto un prodotto della sua mente, non l’Elena che conosceva nella realtà.
La guardò fissa negli occhi e le disse: “Tu non sei reale, tu sei una parte di me che impersona te… cioè, impersona l’idea che ho di te, sei te se fossi me… o se io fossi te, insomma.”
Lei annuì seriamente, corrugando le sopracciglia in quel modo che lui aveva così bene imparato ad apprezzare, poi gli passò il braccio dietro la testa e l’attirò a sé, baciandolo sulla bocca.
“Da uno a dieci, quanto era reale questo bacio?” gli chiese quindi.
Guido non riuscì a rispondere, ma immaginò il suo cuore palpitante sollevare decisamente un cartello con la scritta “10” stampigliata a caratteri cubitali sopra.
“Sì, devo ammettere che c’è qualcosa di strano in questo sogno…”
Era indeciso se dirle del suo doppione onirico che tanto le somigliava, per non parlare del paradiso e della cosa in agguato da qualche parte del bosco. Rimasero in silenzio qualche tempo, poi lei si volse di nuovo a lui.
“Probabilmente stenterai a crederlo, ma io sono reale, per meglio dire mi sento reale, penso, percepisco, ho il fiatone per la corsa, ho tutti i miei ricordi.”
Guido osservò il seno che si sollevava e abbassava seguendo il respiro e lo sentì molto reale, tanto che desiderò baciarla di nuovo. Si dette del maniaco e cercò di concentrarsi sulla questione più importante.
“Quanto fa 17 per 9?” disse.
“Come?”
“17 per 9, quanto fa?”
Lei rifletté un attimo.
“Non lo so.”
“Ecco, questo è un test per determinare se stiamo sognando.”
Si rese conto di aver usato il plurale, mentre avrebbe forse dovuto dire “sto sognando”, ma irrazionalmente non voleva offenderla mettendo in dubbio la sua esistenza.
“Temo che la mia risposta sarebbe stata la stessa da svegli, lo sai che la matematica non è la mia passione.”
“Ho un’idea: osserviamo attentamente le cose, il mondo intorno, il primo che vede qualcosa di fuori dall’ordinario lo dice all’altro.”
Iniziò a guardarsi intorno e gli tornò in mente il fatto che ora realmente osservava le cose come dubitando di essere nella veglia, cosa che difficilmente gli riusciva così bene prima di fare un test di realtà. Osservò alcuni alberi del viale, riuscì anche a sentire e scorgere alcuni uccelli sui rami. Guardò la pavimentazione della via cercando una qualche imperfezione, un elemento fuori posto. Si osservò la mano, contò le dita ed erano nel numero giusto. Si girò di lato ed ebbe un tuffo al cuore trovando Elena che lo fissava, la sua bocca a una decina di centimetri dalla sua. Senza pensarci troppo la baciò dolcemente, chiudendo gli occhi e abbandonandosi alle sensazioni. Provò un sentimento vero, e tutto il resto passò in secondo piano, perse importanza sapere se fossero in un sogno o nella realtà. Voleva credere che lei fosse vera, che quelle labbra fossero vere e che veramente erano lì a baciarsi, perché il suo amore per lei era reale e pretendeva realtà.
Quando riaprì gli occhi si svegliò nel suo letto, di fronte alla cascatella incantata.
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Sedette sulla sponda con una sensazione di impotenza. Pur non avendone bisogno fece un test di realtà. Sentiva che era importante che superasse le apparenze e mantenesse un contatto continuo con il suo stato di coscienza, altrimenti avrebbe rischiato di impazzire e vagare per sempre in quel doppione onirico della vita reale. Si disse perciò che era in un sogno, che stava semplicemente dormendo nel suo letto, ma ormai il germe dell’incertezza si era insinuato nei suoi pensieri. Se era davvero in un sogno, perché non si svegliava? Se era davvero in un sogno perché le cose somigliavano così terribilmente alla realtà e allo stesso tempo ne differivano, così altrettanto terribilmente? Provò il desiderio di toccare l’acqua che scendeva dal torrentello per saggiarne la consistenza, ma i colori di cui riluceva gli sembrarono troppo alieni. Aveva bisogno di normalità, di una tazza di latte con biscotti, di un’interrogazione di matematica, qualunque cosa gli avesse tolto dallo sguardo quel paesaggio irreale. Si alzò in piedi e iniziò a girare su se stesso a occhi chiusi, dicendosi che si sarebbe svegliato al termine dello spinning. Nel suo letto, nella sua casa. Dopo un tempo interminabile si fermò e restò un attimo con gli occhi chiusi, aggrappato a quel desiderio di risveglio. Quando aprì gli occhi Eva stava a poco più di un metro da lui. Indossava una veste celestina che riluceva dei riflessi cromatici che sembravano caratteristici di quel mondo. Lo osservava con lo sguardo interrogativo che hanno a volte i personaggi onirici, lo sguardo di chi sembra chiedere: “ e ora, che si fa?”. Sentiva il bordo del letto a contatto con le sue gambe, udiva lo scroscio dell’acqua che scendeva dalla cascatella e vedeva Eva di fronte a lui, silenziosa e desiderabile nella sua veste turchina. Senza dire nulla fece un passo avanti, la strinse tra le braccia e la trasportò sul letto, dove si lasciarono cadere mollemente uno sull’altra. Mentre toccava quel corpo giovane e cercava il modo di sfilarle la sottoveste si scoprì a chiedersi se in qualche modo Eva somigliasse a Elena nel fisico come nel viso, ma dimenticò presto quella curiosità, preso da altri desideri. Scoprì che era nuda sotto la sottoveste, e sentì montare prepotente il desiderio di lei, come una continuazione del bacio sospeso tra lui ed Elena, nel sogno appena lasciato. Lei lo lasciò fare, anzi facilitava i suoi movimenti con naturalezza, conducendolo nel suo intimo e seguendo il suo ritmo incalzante fino a quando lui, incapace di trattenersi, cercò di tirarsi indietro. Allora lo trattenne dentro di sé, stringendolo stretto con le gambe incrociate.
“Se lui ti ucciderà avrò almeno qualcosa di te da ricordare.” Disse.
Guido capì a cosa si riferiva ed ebbe un brivido suo malgrado. La strinse qualche secondo, ancora preso dall’estasi di quell’orgasmo improvviso, poi rispose: “questo è un sogno, non può uccidermi, al massimo può svegliarmi.”
Eva lo osservò stupita, come vedendolo per la prima volta. Assunse un’aria assorta, poi disse: “allora non sono la sola a sognare. Credevo ci fosse qualcosa che non va in me, invece anche tu sogni…”
“Tutti sognano, è normale sognare.”
“Perché dici che è normale?”
La domanda gli parve così singolare che non trovò alcuna replica che non gli sembrasse stupida. Era come spiegare perché si respirava, perché si viveva.
“Sognare è il 50% della nostra vita, la nostra vita è divisa in due parti, la realtà e il sogno.”
Eva sembrava sempre più interdetta. Dopo una lunga pausa alla fine disse: “Davvero trovi tanta differenza tra il sogno e la realtà da considerarli divisi? L’altro mio mondo è assai diverso da questo, ma non potrei definirlo sogno, e definire questa realtà. Se dovessi farlo direi che sono entrambi … realtà. Solo, sono due mondi diversi in cui vivo.”
Il giorno prima Guido avrebbe ribattuto facilmente a quest’affermazione, ma ora… ora non trovava nulla di strano in quella descrizione. Il sogno è realtà e la realtà è sogno: sono solo mondi diversi. Improvvisamente sembrava saperlo con certezza, era sempre stato così ed era bastato un giorno, o forse pochi secondi, per sgretolare per sempre le certezze di una intera vita. Eva lo strinse dolcemente, lasciando che lui accostasse il capo al suo petto. Sentiva il battito del suo cuore e il suo respiro, la sua guancia a contatto con la dolce curva del suo seno ed ebbe una vertigine, il desiderio folle che tutto si fermasse, che nulla cambiasse più, da allora fino alla fine del mondo. Non voleva più sognare, non voleva più svegliarsi. Qualunque cosa fosse quel mondo in cui si trovava era quella la realtà, e nulla avrebbe potuto cambiarla. Ricordò che aveva provato la stessa sensazione poco prima (o forse secoli prima), quando baciava Elena, e quel deja vu lo rese inquieto. Tutto cambia, nulla è per sempre, sembrava dirgli. Come se fosse una conferma per quei pensieri, Eva si scosse e lo separò da sé.
“Devi andare ora.” Disse.
“Dove?”
“Devi andare ora.” Ripeté.
Guido si accorse che piangeva, e le lacrime che scendevano lasciavano scie dorate sulle sue guance arrossate.
“Non voglio andare via.”
Sentiva una determinazione incrollabile, che mai aveva provato prima. Non poteva lasciarla ora che l’aveva trovata, amata. Cercò le parole per spiegarle quell’indomabile desiderio che aveva di lei, ma Eva si era già alzata, e lo tirava per un braccio con una certa urgenza.
“Devi andare!” Disse. “Non capisci? Lui ti cercherà, ti troverà. Nulla qui può sfuggirgli, devi andare!”
Guido la guardò supplicante, stava ancora cercando qualcosa da dire quando un rumore improvviso gli fece fermare il cuore. Qualcosa si avvicinava rapidamente alla loro sinistra, con la rapidità che nulla, sulla Terra, poteva avere. Eva diede un grido trattenuto e lo tirò con forza, e subito dopo erano lanciati in una corsa frenetica in mezzo alla vegetazione. Mentre correva Guido si disse che troppe cose tendevano a ripetersi, da qualche tempo a quella parte, tornando ogni volta al principio come nel lento avvolgersi delle spirali di una conchiglia. Aveva già vissuto quegli istanti di loro che correvano mano nella mano e la cosa alle loro spalle che li incalzava senza tregua.
“Non potremo mai farcela.” Disse tra un respiro e l’altro.
Eva sembrò riflettere su quella frase, poi rispose: “Tu puoi farcela, io lo tratterrò.”
Guido inorridì a quella proposta.
“Io non ti lascio!”
“Non c’è soluzione. A me non farà niente, io sono parte di questo mondo. Tu devi proseguire, sali la collina, cerca di arrivare in cima, lì troverai la porta…”
Mentre parlava si era fermata e Guido, nell’impeto della corsa, aveva proseguito per alcuni metri prima di fermarsi a sua volta.
“No, io non vado senza di te!”
“Devi andare, altrimenti lui ti ucciderà e io morirò di dolore subito dopo.”
Per un attimo Guido provò un perverso piacere a quella dichiarazione d’amore. Lei mi ama da morire. Lei morirebbe per me. Poi il rumore della bestia che si avvicinava scacciò via ogni romanticismo.
“Vai!” Gridò lei disperata.
Il suo sguardo supplicante più che le parole lo spinsero a correre, su per un rilievo che s’immergeva nella bruma azzurrognola. Si girò e vide Eva, nuda e incantevole nella sua bellezza primitiva, che lo guardava dal basso con dolcezza. Sollevò una mano e lei rispose con la mano aperta, come un ultimo saluto.
“Quando si apre una porta, poi bisogna ricordarsi di chiuderla.” Disse lei, e la sua voce gli giunse nitida e chiara come se fossero a non più di un metro di distanza. Guido ebbe la tentazione di tornare indietro, poi di girarsi e fuggire. Alla fine restò dove si trovava, quindi disse, come parlando tra sé: “Quando sogni, cos’è che sogni esattamente?”
La sua voce risuonò cristallina nell’aria e si propagò tutt’intorno, fino a lei. Eva sorrise, di un sorriso che gli annegò il cuore.
“Sogno di essere in un mondo diverso, una ragazza diversa.”
Guido voleva interrogarla ancora, indagare su quel mistero, ma ora il rumore della cosa che si avvicinava si era fatto davvero vicino. Capiva che non c’era tempo, si voltò e fece per andare, poi si fermò di nuovo.
“Come ti chiami, in quel mondo?” Chiese.
In quell’istante vide qualcosa uscire dai cespugli e piombare sulla figura solitaria alla base della collina. Non riusciva a distinguere cosa fosse ma percepiva la terribile forza che emanava da quell’essere. Senza poter controllare il suo corpo onirico si trovò a correre disperatamente su per la salita, e mentre saliva udì la voce di Eva dirgli un’ultima frase, un’ultima conferma, che gli diede la forza per arrivare fino alla porta che attendeva, in cima, e superarla senza esitazione.
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Si svegliò nel suo letto, di soprassalto e col fiatone. Fece diversi respiri profondi, finché gradualmente l’alzarsi e abbassarsi del suo petto si calmò. Era mattina, la luce filtrava dalle persiane disegnando strisce dorate sulla parete di fronte. Era la scena che vedeva ogni giorno al risveglio, e ora sapeva che era davvero tornato alla realtà di sempre. Sentiva che quello strano sogno, fatto di falsi risvegli e di fughe disperate, si era finalmente concluso. Ripensò a Eva e all’intensità di quel poco tempo passato insieme: avrebbe mai vissuto, nella vita “reale”, delle sensazioni così piene e appaganti?
Si stiracchiò e si alzò in piedi, mise le pantofole e si diresse verso la cucina. La madre gli aveva già preparato la colazione e Guido si sedette davanti alla tazza fumante di caffelatte.
“Buongiorno! E’ tardi, devi sbrigarti Guido o farai tardi a scuola…”
“Sì mamma, sarò una scheggia.”
Buttò alcuni biscotti nel latte e iniziò a mangiare, poi si lavò e si vestì, sorprendendosi della naturalezza con cui ripeteva i normali gesti quotidiani, dopo tutto quello che era successo. Quando lei gli aveva gridato quell’ultima frase avrebbe giurato e rigiurato che mai e poi mai la sua vita sarebbe stata la stessa. E ora ripeteva gli stessi inutili gesti, le stesse insulse azioni di ogni giorno, come se niente fosse successo. Si lavò i denti, prese lo zaino e salutò la madre. Mentre stava ancora sull’uscio ripensò alle sue parole.
“Nei miei sogni mi chiamo Elena.” Gli aveva detto.
Sorrise dolcemente a quel ricordo, e al fatto che, sia pure in un sogno, era riuscito a fare l’amore con lei. Quindi si ricordò che era tardi, salutò di nuovo, chiuse la porta. Prese una breve rincorsa e spiccò il volo, dritto dritto verso la scuola.
« Gli invisibili unicorni rosa sono esseri dotati di grande potere spirituale. Questo lo sappiamo perché sono capaci di essere invisibili e rosa allo stesso tempo. Come tutte le religioni, la fede negli invisibili unicorni rosa è basata sia sulla logica che sulla fede. Crediamo per fede che siano rosa; per logica sappiamo che sono invisibili, perché non possiamo vederli. »

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Re: Oniric Tales: racconti da onironauti

Messaggioda LCyberspazio » 30/10/2015, 1:26

Grazie mille @dixit e @Sonme, non mancate di farmi sapere cosa ne pensate a fine lettura :)
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