26/9/2023
5:24 - L’ANTICO PIAZZALE
(…) Ho la sensazione di trovarmi in una delle piazze principali della mia città, a poca distanza da dove abito. Dico “sensazione” perché in effetti sono circondato dalle tenebre. Il primo elemento visivo che in qualche modo riesce a delinearsi, emergendo dal nero assoluto, è una statua collocata proprio di fronte a me. Anche nella realtà c’è una statua in questo punto della piazza, ma è completamente diversa: qui raffigura una donna molto stilizzata, avvolta in una specie di cappa o mantello che le dona una parvenza quasi monastica. Ha le braccia allargate, coi palmi rivolti verso il cielo; nella mano destra regge la falce lunare e nella sinistra il disco del sole, tutto di pietra scolpita. Man mano che la mia vista si aguzza, noto che la statua è collocata su un piedistallo sopraelevato, che a sua volta si trova al centro di una piccola fontana rotonda, in cui vedo galleggiare le foglie di una ninfea e un fiore dalla vaghissima sfumatura rosea. Immagino di stringere la mano di Eddie e subito percepisco la sua presenza al mio fianco, anche se non lo guardo direttamente. “Di chi si tratta?”, gli chiedo. “E’ la grande madre, la rappresentazione dell’archetipo femminile”, mi risponde. Stavolta non sento proprio la sua voce, è più una sorta di impressione mentale. Spingendo lo sguardo oltre la statua, scorgo un ammasso di vegetazione estremamente fitta e cupa, stretta fra due grandi edifici sul margine della piazza. Lo interpreto come un boschetto consacrato a questa dea e decido di non esplorarlo perché sarebbe irrispettoso.
Mi giro invece nella direzione opposta, verso il centro stesso della piazza. In teoria, il manto stradale dovrebbe essere rivestito con lastre di pietra levigata, ma al loro posto scorgo una specie di mosaico tridimensionale, che sembra rappresentare un paesaggio in miniatura. Non so perché, ma penso subito che sia la mappa del mio mondo dei sogni, anche se non colgo nulla di familiare nel suo aspetto. In un punto particolare noto una specie di anello di pietra, dove il terreno sembra sprofondare verso il basso. “Cos’è quello?”, domando a Eddie. “E’ il pozzo di… (da sveglio non ricordo più la parola.) Lì i morti cercano di emergere. Non andarci mai”.
Costeggiando la mappa senza calpestarla, mi avvicino all’estremità opposta della piazza, completamente chiusa dalla facciata frontale di un antico palazzo. Il suo portone di legno è sbarrato e sorvegliato da guardie, una su entrambi i lati. Non le osservo nei dettagli, mi resta solo la sensazione che indossino delle armature (rammento di sicuro un gonnellino metallico e delle spade molto tozze appese alle cinture), oltre all’idea generica che siano di origine araba… In realtà, l’intero sogno ha un’atmosfera in qualche modo mediorientale. Piuttosto, mi accorgo con certezza che ci sono delle decorazioni sul muro dell’edificio. A destra del portone vedo il bassorilievo a grandezza naturale di una donna, limitato però alla sua testa, contornata da folti capelli scolpiti, e parte del busto; la bocca è aperta e iniziano a fuoriuscirne degli uccelli neri simili a cornacchie, che mi volano davanti come al rallentatore. A sinistra del portone, invece, c’è un altro bassorilievo che rappresenta uno scheletro umano dalla cintola in su, che emerge in diagonale dalla parete. Le sue proporzioni sono molto sgraziate, la cassa toracica è troppo larga, quasi deforme, per non parlare delle dita sottili e lunghissime. Si muove, sta armeggiando con ago e filo. Domando a Eddie cosa stia facendo e lui replica: “Tesse la tela del destino.” Prima di allontanarmi, sollevo lo sguardo per farmi un’idea più precisa della forma dell’intero palazzo, ma non noto granché di interessante. Dev’essere alto almeno due o tre piani e vi è sicuramente una piccola veranda con colonnine scolpite; nell’angolo opposto dell’edificio, proprio sul confine con la cattedrale, vedo anche una specie di viottolo, o di rampa, che probabilmente si inerpica fino al terrazzo.
A questo punto, vorrei esplorare proprio la cattedrale adiacente, ma qui il sogno sembra collassare e tutto sprofonda in una densa oscurità nella quale si susseguono le immagini più variegate. Anzitutto, vedo quella che sembra una distesa di cespugli punteggiati da minuscoli fiorellini blu e violetti, sovrastati da un arco scintillante che dovrebbe rappresentare il bordo del disco lunare ancora basso sull’orizzonte; dentro quel semicerchio nero si susseguono le sagome di edifici dalle grandi finestre e dall’aria ottocentesca-vittoriana. Poi, a sorpresa, ne emerge Eddie, sorridente e con lo sguardo gentile. In questo sogno è la prima volta che lo vedo direttamente. Si è proprio tirato a lucido, indossa giacca e cravatta, camicia bianca e pantaloni, nonché una cintura dalla fibbia verde e molto spessa (l’unico oggetto veramente colorato che ho visto stanotte!). “Ti sei messo in ghingheri!”, gli faccio notare. “Ogni tanto ci vuole…”, replica lui. In seguito mi percepisco sdraiato, sembra che il letto stia ruotando lentamente su sé stesso mentre sprofonda sempre più giù, il tutto accompagnato da una sensazione di estrema dolcezza. Quindi c’è un susseguirsi di volti: dapprima vedo un vecchio decrepito, rugoso, coi denti storti che sporgono dalle labbra e due occhi impressionanti per quanto sono vividi e tristi; segue un’altra faccia dove uno zigomo assume le sembianze di un’ulteriore faccina minuscola; poi il primo piano di un uomo dal naso incredibilmente lungo e la bocca spalancata dalla meraviglia, dalla quale emerge una piccola mano chiusa a pugno. A questo punto c’è probabilmente una breve parentesi di incoscienza, quindi sopraggiunge il risveglio.
27/9/2023
4:40 - IN GIARDINO
Lucido spontaneo: all’improvviso mi ritrovo consapevole in sogno, pur non avendo usato alcuna tecnica. Sono in giardino e mi guardo attorno con attenzione... Una volta tanto, lo scenario è ben illuminato e i colori perfettamente riconoscibili (il verde della vegetazione, il marrone della terra...) per quanto un po’ sbiaditi; perfino il cielo ha un aspetto realistico, con una sfumatura celeste di fondo e un po’ di foschia biancastra verso l’orizzonte. Tuttavia, mi accorgo di nuovo che l’ambiente intorno a me rispecchia il lontano passato, nello specifico il periodo della mia infanzia: il viale, ad esempio, è ancora una semplice pista in terra battuta, non vi è traccia dei muretti laterali o del lastricato in cemento; la fioriera di mattoni e le altre aiuole semplicemente non esistono e finanche la disposizione di molti alberi è diversa. Mi avvio titubante, concentrandomi sulla percezione del mio corpo che si muove, e mi chino ad afferrare una manciata di terriccio per saggiarne la consistenza farinosa. Poi pulisco le mani battendole fra loro e ne sento davvero il rumore; rizzando le orecchie percepisco pure il cinguettio degli uccellini e finanche il rombo del traffico in lontananza. Passo accanto a un vecchio rudere dove un tempo i miei genitori tenevano vari animali da cortile e in effetti adocchio alcuni polli che mi scrutano curiosi dietro le reti metalliche. Mi avvicino al cancelletto posteriore, attirato da un piccolo animale bianco che cerca inutilmente di scavalcarlo. All’inizio sembrerebbe un capretto, poi mi accorgo che si tratta di uno strano maialino peloso. Oltrepasso il cancello e lo prendo in braccio un po’ a fatica, visto che si dimena, poggiandogli un dito sul musetto e sentenziando in modo semi-serio: “Stai tranquillo! Guarda che sei un mio personaggio onirico, mi devi obbedire!”. Fatto sta che il cucciolo effettivamente si calma. Purtroppo, subito dopo incappo nella versione onirica di una mia conoscente (attuale) che inizia immediatamente a parlarmi a raffica, commentando il maltempo degli ultimi giorni e i danni che sta provocando; sopraffatto dalla situazione, perdo lucidità e mi sveglio di lì a poco… Che amarezza!