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Raccolta di sogni privi della consapevolezza di sognare.
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Diario della Mìlu.

Messaggioda Miluna » 24/10/2011, 14:14


Notte dal 22 al 23 Ottobre 2011 ^^
In attesa dei tanto agognati sogni lucidi mi accontento di ricordare cosa ho sognato senza lucidità =)

Non ci devono vedere, né sentire. Non devono sapere che stiamo andando alla fortezza, non ci devono raggiungere. I fari dell'auto devono mostrarci la strada, ma devono rimanere nascosti dai loro occhi. Illuminano le fronde degli alberi, l'asfalto che serpeggia tra le vette, ma lì devono fermarsi. Non un solo, sottile raggio deve illuminare il cielo notturno; potrebbe attirare attenzioni indesiderate.
Forse sono i capelli, forse gli occhiali, ma qualcuno di familiare è seduto nel sedile davanti. Vedo solo l'ombra dei suoi boccoli disordinati interrotti dal profilo di una montatura particolare, si gira verso il volante, si muove, parla, ma io non la sento. Il guidatore è ancora nascosto dal sedile. Non mi chiedo chi possa essere, non mi interessa, in fondo, devo solo raggiungere il castello. La strada procede dritta, svolta tra alte latifoglie, si intrufola tra rocce e salite, finché non incontra altre luci. Sembrano bianche stelle che risplendono tra la vegetazione, le vedo tremare, e tutto quello a cui posso pensare è che siano il pericolo dal quale stiamo scappando. Eppure la macchina non rallenta, corre veloce verso di loro. Si dividono, ora sono tre. Non sento più il motore rombare sotto il sedile, uno scroscio d'acqua assordante riempie l'abitacolo. Ora capisco; l'auto sta passando di fianco a tre grandi fari che illuminano altrettante cascate. Sembrano cadere nel vuoto, e laddove la luce si dissolve nei loro vapori, scompaiono assieme ad ogni altra cosa.
Una galleria. Altra luce, altre strade. Entriamo in un paesino, i lampioni lanciano una luce rosea e la nebbia la riflette, illuminando l'aria con un bagliore malinconico.
Chissà perché era sempre lo stesso posto. Era sempre quell'ambiente, notturno e freddo, avvolto nella nebbia e nella luce funerea dei lampioni. Chissà perché, ogni volta che ritornavo in quel luogo, era perché qualcuno mi stava aspettando mentre qualcun altro mi stava dando la caccia.
Il pullman ci appare, parcheggiato in una piazzetta, sembra in procinto di partire. Ma alla nostra vista si arresta; era noi che attendeva.
Non vedo dove ci fermiamo.
Non c'è più un sedile. C'è soltanto freddo, freddo sulla mia pelle, sulla schiena, lungo il collo. L'ho sospettato; un soffitto bianco appare d'improvviso: è ovvio. E' il freddo sterile di un ospedale, la luce immacolata di un corridoio. Distesa su quel pavimento, potevo scorgere un carrellino metallico.
Non seppi dire perché quel carrellino di metallo fosse così definito, era un oggetto nuovo, mai visto.
C'è qualcuno. Medici, forse. Uno alla mia destra, uno alla mia sinistra.
-Non sei grave. Abbiamo ancora tempo.- dice uno dei due, l'altro ha un giornale di enigmistica in mano.
Non ricordo i loro volti, ma non so come, seppi che colui che era impegnato in qualche rompicapo era un anestesista, mentre l'altro un chirurgo.
A fatica, alzo il collo. Un impacco è attaccato sul mio cuore. Una macchia violacea ne spunta fuori, un enorme livido che si espande sotto la cute. Non sono io il caso grave. Qualcun altro è in sala ed a lui sono date tutte le attenzioni.
-Hai controllato?- dice il chirurgo all'anestesista. L'altro annuisce senza nemmeno voltare lo sguardo.
-Non si è mossa.- bofonchia da dietro le pagine.
Guardo ancora la macchia. E' più grande, si espande fino al collo, fuoriesce da tutti i lati dell'impacco. La rabbia mi pervade; come più dire che non si è mossa? Come può fare il suo lavoro così?
Mi alzo, nessuno sembra dirmi nulla. Un vestito da infermiera; ecco cosa voglio. Voglio travestirmi per sgattaiolare via.
Oltre una vetrata vedo una ragazza con un grosso carrello, porta gli occhiali, un maglioncino verde oliva ed i capelli corti. Sta pulendo un'enorme stanza, i tavoli sono di metallo, su ognuno di essi scende dal soffitto un tubo giallo. Quei tubi portano gas, lo so. Non me ne preoccupo, io voglio parlare con lei.
-Ehi.- le dico. Non mi sente, anzi, non si muove. Sembra una statua con quegli occhi fissi su … Il tubo giallo era aperto. In caso di emergenza scoppierebbe l'allarme, giusto? Non lo so, ma non voglio esplodere. La scuoto energicamente, ma lei non si muove, mantiene le mani incollate a quel maledetto carrello.
Un camice bianco attira la mia attenzione. Mi fa segno di andare in quella direzione, verso l'altro lato della stanza, anch'esso una vetrata. Lui è un medico, lo stetoscopio al collo, il camice immacolato, una targhetta argentata mostra il suo nome inciso a caratteri neri. Ha dei bei capelli.
Afferra una manica del mio camice e mi trascina fuori da quella stanza. Mi dice qualcosa, indica la macchia viola che ormai è enorme, ed alla sua vista sobbalzo. Dice che se non faccio qualcosa per quell'emorragia, mi ucciderà in poco tempo. Ma qualcuno più grave di me è già in sala operatoria! Non attende una risposta, e con un'espressione grave si allontana.
In preda alla paura corro dove mi sono risvegliata. I medici sono ancora lì, seduti a terra come li avevo lasciati.
-Non voglio morire!- grido in preda alle lacrime.
Non dicono nulla, si alzano e osservano la macchia.
-L'emorragia! Bisogna fermarla!- scivolo lungo la parete.
Le immagini si appannano mentre il mare invade la mia mente. La sabbia è marrone alla luce spenta del sole nascosto dietro le nuvole. Non ci sono onde, però piccole alghe rosse galleggiano in acqua, mosse da una corrente invisibile. Mi volto; una ragazza, i capelli lunghi e mossi, il viso ancora giovane e pingue costellato da lentiggini. Tiene le gambe strette al petto e mi guarda con espressione truce. Mi avvicino, felice di vederla. Voglio parlare per chiederle qualcosa. Lei urla, quasi come se avesse paura, eppure quella che la muove è un'ira profonda. Lancia la sabbia bagnata verso di me, urla, mi caccia via dalla spiaggia.
E da quei sedili di plastica grigia e blu, volti che mai avevo visto osservano il mondo scorrere lento. Tutti parlano lingue straniere, sento qualche parola giapponese, indiana, araba, francese. Qualcuno che conoscevo stava parlando fluentemente russo con un uomo dal turbante grigio. Dietro di me era seduto un giovane, probabilmente proveniva dall'india, il suo accento era così strano:
-Where are you going?-
Non posso rispondere.
-Fermate l'emorragia!- ed il Pullman parte sotto la funerea luce dei lampioni.

A quanto pare guardare Grey's Anatomy ha i suoi effetti o.o
Prometto di non usare più il presente come tempo verbale, non riesco a scrivere decentemente T^T
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