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Mi sono trovato a ripassare

Messaggioda vinniec » 17/04/2018, 17:22

Era qualche anno fa che mi iscrissi per fare due domande alle persone di questo forum.
In quel momento quelle domande mi erano utili perché stavo facendo delle ricerche, però allo stesso tempo ero interessato all'onironautica, ed è per questo che mi sono ricordato di questo forum.
Mi ha sempre affascinato l'idea di scrivere quello che si sogna perché il sogno riesce spesso ad essere imprevedibile, a trovare un'originalità nella evoluzione che spesso non si riesce a trovare nei racconti scritti quando si è vigili.
Per di più la cosa più eccezionale è che queste proposte provengano da se stessi, come se la nostra personalità fosse rinchiusa dentro qualcosa di più grande che riesce a ragionare in modo separato e a condurci a nostra insaputa nelle sue avventure.
Non sapere davvero cosa starà per succedere mentre si è consapevoli che è il nostro stesso cervello che sta creando tutto, questo mi ha sempre stupito.
È tutto fantastico, il problema principale per cui non mi lancio alla scoperta di questo mondo è che molto raramente ricordo i sogni, se dovessi basarmi solo su quello che so al mio risveglio direi che praticamente non sogno mai, mi succede di ricordare i sogni solo quando dormo male e mi sveglio spesso, dormo troppo a lungo e il mio corpo comincia ad assumere uno stato di dormiveglia.

Adesso arrivo alla mia vera richiesta, stavo rileggendo qualcosa che avevo scritto qualche giorno fa. Non è qualcosa che è scaturito da un sogno, ero vigile e più o meno sapevo l'argomento o la sensazione che volevo toccare, anche se poi ho scritto di getto e semplicemente corretto e fatto qualche miglioramento dopo.
Rileggendolo mi accorgo che non riesco a valutare quello che ho scritto, non riesco a capire se è interessante o se è pura spazzatura, per il semplice fatto che sono stato io a scriverlo e non è un sogno, non riesce proprio di darmi un fascino.
Ho pensato che volevo trovare un forum dove si commentassero racconti, ne ho trovati tanti ma poi mi sono ricordato che mi ero iscritto qua un po' di tempo fa.
Oltre all'attrazione per l'onironautica ho anche un altra ragione per cui mi sono voluto riavvicinare per un momento, le casualità della vita ti portano a sentire la mancanza di qualcosa o qualcuno che inconsapevolmente aveva delle cose in comune con te ma che poi non è stato possibile sviluppare, allora senti che almeno vorresti riavvicinarti a queste somiglianze, non potendo fare di meglio.

Scusate se sono prolisso, lo so che è una caratteristica odiosa (soprattutto nei forum), vi passo il racconto, se vorrete commentarmelo per me sarà piacevolissimo leggere cosa ve ne pare, ovviamente non mi aspetto carinerie! non sono uno scrittore ne mi reputo bravo nello scrivere, quindi se fa cagare ditemelo, per me i vostri pareri sono comunque interessanti.
Grazie :)

Racconto nello spoiler!
Spoiler:
Mario stava guardando l'orologio, segnava le sei e mezza di mattina.
In realtà non voleva alzarsi, non voleva vestirsi e non voleva uscire ma non aveva scelta.

Era nuvoloso, uno di quei giorni grigi dove il sole non esiste che per diffusione indiretta e dove il tempo sembrava volere rimanere fermo indefinitivamente alla stessa ora.
Fuori era umido, tanto umido che la nebbia faceva grondare gli oggetti come se ci fosse piovuto sopra, la sensazione era quella che l'acqua venisse prodotta dal nulla, condensata addosso e si staccasse da se.
Non era neanche così freddo, in realtà la temperatura esterna era molto simile a quella interna, per cui l'unico vero fastidio era questa incessante mancanza di delimitazione degli spazi personali.

Il cervello di Mario si focalizzava su questi particolari nel tentativo di scappare via dalla propria responsabilità, ma inevitabilmente rimaneva focalizzato su questo grande dilemma che non riusciva a risolvere.
Le aveva provate tutte per farsi una ragione, ma la realtà è che ciò che Mario voleva non era realizzabile.
Il suo pensiero rimaneva quindi indissolubile, incapace di distogliersi dalla sua attenzione e incapace di modificarne le sembianze.

Nelle sue tasche Mario aveva riposto della carne secca, accuratamente riposta dentro un sacchetto di plastica.
Il paesino in cui viveva era abbastanza piccolo da non dover richiedere ai propri cittadini uno stretto regolamento di sopravvivenza. Ognuno viveva la sua vita più o meno indifferentemente e lasciava vivere quella degli altri. Così era per le persone, così era per gli animali.
Randagi ce ne erano molti, tiravano a campare mangiando i rimasugli di cibo trovati in giro, nessuno si preoccupava di cosa facessero in giro né di quando comparissero e scomparissero periodicamente.
In fondo la vita di un animale selvaggio è affidata al caso.

Mario intravise un cucciolone accovacciato sotto una tettoia. Doveva essere un incrocio con qualche pastore tedesco visto che ne conservava la corpulenza.
L'uomo si compiacque per un momento, i cuccioli sono sempre più socievoli, è un tratto istintivo innato poiché dall'apprendimento dipende la loro sopravvivenza.
Tirò fuori dalla sua giacca di feltro oramai intrisa di acqua alcuni pezzetti di carne e li diresse verso Polk (lo chiameremo così per comodità).
Perché si continua a pensare alle giacche di feltro come dei tessuti idonei al cattivo tempo non ce lo possiamo spiegare ma Polk accettò di buon grado di bagnarsi allo stesso modo facendosi stanare, si avvicinò, guardò con attenzione l'esca, l'annusò, e poi la tolse dalla mano di Mario con un morso.

Mentre masticava, il cane lasciò cadere qualche lembo a terra senza preoccuparsene, sapeva che l'avrebbe ripreso poco dopo.
Mario nel frattempo si azzardò ad accarezzarlo su una guancia e fortunatamente ci riuscì senza sforzo.
Mentre lo accarezzava avvicinò il suo volto all'animale per proferirgli "ciao bello, oggi mi servirà il tuo aiuto per capire qualche cosa, lo so' che non ti dovrei chiedere questo favore ma ogni giorno, ognuno di noi è funzionale a qualcosa che gli è più o meno nota".

Gli occhi di Polk erano abbastanza vispi malgrado il brutto tempo, erano ancora enigmatici verso l'uomo ma sembravano interessati a seguirlo, almeno per ora.
Quando l'uomo si spostò, il cane cominciò quindi stargli alle calcagna.
L'uomo parlucchiava a vanvera e ogni tanto gli passava un pezzetto di carne, il cane lo seguiva, dapprima sulla strada, poi dentro ad un cortile, poi su per un torrione di scale di un condominio fino ad arrivare su ad una terrazza condominiale.

Attraversarono la porta che li divideva dalla terrazza e Mario se la richiuse dietro. Il cane ancora lo seguiva senza porre molta attenzione a tutto il resto.
La terrazza era piccola, abbastanza da non concedere ai due di perdersi di vista ma non così tanto da costringerli in pochi mq.
Avevano abbastanza capacità di movimento da potersi tenere a distanza.

Mario estrasse l'ultimo pezzetto di carne e lo porse a Polk che anche questa volta accettò di buon grado.
"Beh, amico mio, siamo arrivati adesso, forse tu potrai farmi capire cosa sta succedendo, forse potrai spiegarmelo in qualche modo".
Mentre lo diceva Mario guardava benevolo il cane.

E anche il cane lo osservava, concentrando le sue attenzioni, conservando ancora il suo sguardo interrogativo.
Mario era sicuro che quando le altre persone dubitavano dell'intelligenza degli animali in realtà stavano mettendo in dubbio solo la propria, Mario era sicuro che un animale per sopravvivere doveva essere in grado di percepire gli eventi esterni, esaminare e rielaborare sotto forma di informazione quanto assimilato e comportarsi di conseguenza.
Magari poteva essere un processo non altrettanto raffinato di quanto si era abituati ad eseguire, ma era indubbio che doveva avere la stessa origine.

Mario si sedette e continuò a guardare il cane, non faceva altro.
Anche il cane continuava a guardarlo.
Passarono diversi minuti, il cane strizzava gli occhi e mentre lo faceva lasciava grondare la rugiada ai lati degli occhi, come fossero lacrime.

Mario instancabilmente continuava nel suo compito, il cane invece, dopo diverse decine di minuti, prese alternativamente a guardarsi attorno oltre che all'uomo.
In quel momento probabilmente la sua intelligenza gli stava suggerendo che era importante cominciare ad acquisire altre informazioni circostanti, perché le attuali cominciavano ad essere insufficienti.

Invece Mario si dimostrava più stupido e continuava a guardare avidamente il cane.

Passo altro tempo, il cane prese a spostarsi, indietreggiava e guardava in giro per sempre più tempo. Cominciò a spostarsi in altre direzioni anche camminando in avanti e dando le spalle all'uomo.
Alla fine arrivò ad uno dei bordi della terrazza. Il muretto che divideva dal salto non era molto alto, forse 50 o 60 cm, comunque abbastanza da permettere a Polk di guardare sotto.
Oramai il cane aveva perso interesse per Mario e si stava accertando di cosa vi fosse nell'area del terrazzo. Esso annusava anche, ma probabilmente non serviva a molto dato il luogo e il meteo.

Fermatosi per un po' di tempo, il cane riprese a girare. Percorse in lungo e in largo il terrazzo, guardò tutti i margini della terrazza, continuò ad annusare pezzi del pavimento, si fermò a guardare più volte la porta di ferro da dove erano entrati.
Alla fine delle infruttuose ricerche tornò da Mario con atteggiamento sconsolato, testa bassa, muso inclinato, pupille puntate verso l'alto a guardare il volto di Mario che era ancora mezzo seduto sui talloni.

Polk aspettava qualcosa, e per sottolineare l'attesa alla fine tocco una gamba di Mario con il naso, in quel caso non più umido di qualsiasi cosa ci fosse lì.
Mario riaprì bocca: "Mi spiace, purtroppo l'esperimento è appena cominciato, non avrai da me nessuna risposta".
Detto questo Mario sgranchì leggermente le sue vecchie gambe, rantolò fra se e se e si diresse lungo uno dei muretti.
Si sedette con gli avambracci poggiati sopra le ginocchia in modo da lasciare penzoloni le braccia fra le gambe.
Il cane lo guardò e poi lo seguì, di nuovo riavvicinò il naso all'uomo, alle sue mani.

Mario guardava in silenzio.
Polk aprì la bocca e rantolò anche lui qualcosa che poteva sembrare un abbaio smorzato e poi si leccò una guancia con la lingua.
Guardò di nuovo l'uomo, incrociò una alla volta le gambe di davanti e alla fine si sedette.

Il tempo passava, il cane guardava in basso, faceva come se volesse dormire, poi riguardava in alto e poi ripartiva.
Mario continuava ad essere assorto.

Passavano le ore, faceva buio.
Il cane si rialzò di nuovo per una breve ispezione, poi si fermò a guardare sotto, ogni tanto si girava a guardare Mario e poi guardava ancora sotto, poi abbaiava.
Sembrava che si stesse innervosendo un po' perché cominciò a correre disegnando diagonali da un bordo all'altro.
Era intento a cercare movimento nei pezzi di strada che spuntavano sottostanti in mezzo alla nebbia ancora copiosa.

Mario, dolorante, era ancora fermo guardare.
Il cane nella foga alla fine lo travolse, provò a mordergli un pezzo di giacca per provocare una sua reazione, lo strattonò, poi corse di nuovo via e si mise ad abbagliargli.
Poi si fermò a mezza distanza ancora a guardarlo.

Oramai era notte, non c'erano stelle, non era buio pesto ma per gli occhi di un uomo oramai la luce permetteva di scorgere solo sagome a pochi metri di distanza.
L'aria si era leggermente asciugata.
Mario fece scendere il suo sedere a terra e poi si distese di lato, continuò ad osservare la silhouette del cane.

Il cane cominciò a vorticare attorno a se qualche volta, poi andò verso la porta d'ingresso e cominciò a colpirla a grattarla con le unghie generando zampetii e suoni stridenti che provocavano grima fin dentro l'anima di Mario.

In realtà Mario si sentiva in colpa, non voleva impersonare il carceriere dello sventurato Polk, ma la sua mente non gli consentiva di rinunciare.
Mario voleva capire come avrebbe reagito il cane, la mente razionale di un animale ad una situazione irrisolvibile come era la sua da diverso tempo a questa parte.

Voleva vedere una forma di vita più semplice farsi strada nel dubbio. Voleva vedere un modello, una riproduzione in scala dell'impossibilità, dell'indecidibilità che lo attanagliava.

Il cane ogni tanto si assopiva, ogni tanto sembrava piangere e impazzire, ogni tanto sembrava volesse buttarsi giù e ogni tanto cercare di imparare velocemente la ferocia verso l'uomo che la sua giovane età non gli aveva ancora insegnato.

Era notte fonda e Mario cominciò a farfugliare piano.
"Dentro di me volevo fare la stessa cosa, trasformare in movimento l'angoscia, arrampicarmi sui muri, colpire gli oggetti, gridare, scalmanarmi, prendere provvedimenti totalmente casuali a quanto mi stava accadendo.
Eppure non l'ho fatto, non so' cosa dentro di me ha deciso di imprigionare la mia furia, cosa ha deciso che dovevo morire dentro.
Tu ti stai ancora contorcendo in preda agli spasmi, è il tuo corpo stesso che non accetta la condizione in cui ti trovi."
"Riesci a percepire la mia presenza, ti interroghi sul perché io non faccia nulla per reagire alle tue proteste. Non posso sapere se non sei riuscito a realizzare che sia stato io a decidere di portarti qui, però ti accorgi di avere davanti a te un essere senziente che però non ti degna della sua partecipazione alle tue questioni".
"Razionale, tu non sei razionale, cedi ai tuoi istinti, alla fine io concesi al mio osservatore la libertà di ignorarmi, di non fare suoi i miei problemi.
Ho lasciato irrigidirsi il mio corpo similmente a quanto rigido fosse diventato il mio spazio di movimento"
"Tu invece, non so se sia più o meno degno il tuo comportamento, so solo che a differenza mia non ti lasci sommessamente sovrastare dalla situazione.
Quando a me non è stata lasciata nessuna speranza, allo stesso modo non è stato seguito un pensiero razionale ma l'istinto che ha occultato sapientemente le vere ragioni di questa decisione.
Adesso che non te ne sto lasciando io, la mia razionalità mi dice che, qualunque cosa sia quello che io farò in questo momento, la mia condizione di sofferenza non verrà tramutata in nessun modo. Che io ti lasci andare, che io ti blocchi qui o ci blocchi entrambi, che ti faccia violenza, che ti permetta di perpetrarmela, che me ne faccia da solo, sarò sempre rinchiuso nella mia realtà. L'unica differenza è che tu sei un animale, che lo sei stato, che non hai lasciato spazio alla razionalità."
"Tu mi hai ucciso per un impeto di rabbia, io lo sto facendo perché so che con la mia razionalità non arriverò a niente".

In effetti, non si capiva più a chi si stesse realmente rivolgendo Mario.
Il cane ogni tanto si sdraiava lungo il bordo del torrione lasciando cadere lo sguardo in basso, con la testa fra le gambe.
Ogni tanto si alzava e lasciava scivolare una delle gambe di dietro lungo in bordo.

Dentro di se Mario sperava che Polk si sarebbe buttato, dentro di se Mario si prometteva che avrebbe fatto la stessa cosa se questo sarebbe accaduto.
Ma il cane poteva resistere più dell'uomo.

Passava ancora il tempo e le idee di mario diventarono sempre più confuse, meno lucide.
Oltretutto la sua struttura non gli consentiva di vivere fuori allo stesso modo di Polk.

Cosa lo fece addormentare sul bordo del precipizio e cosa lo fece cadere giù non riuscì a saperlo. Se fosse stato lo stesso Polk a spingerlo oppure la misericordia di un angelo.
Ma l'eco dell'accaduto fece si che alla fine qualcuno andò a salvare il cane.
vinniec
 
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