Ultimamente ho visto due film, uno che è uno dei miei cult movies preferiti, e un altro che mi ero perso al cinema (ho affittato il dvd).
Il primo, dato che giorni fa (il 2 febbraio) era la sua celebrazione, trattasi di
"Ricomincio da capo" (in inglese "The groundhog day" - "Il giorno della marmotta").
Avete mai avuto la sensazione che ogni giorno sia uguale al precedente?
Phil Connors, cinico e pragmatico meteorologo di una stazione tv locale americana, sicuramente sì.
Viene spedito come tutti gli anni (suo malgrado) in Pennsylvania, nel piccolo e freddo paesino di Punxsutawney, per fare il commento alla "Festa della Marmotta", festa che in America esiste realmente (per informazioni più dettagliate potete
visitare il sito ), e per lui inizia un vero e proprio tragicomico incubo.
Si ritrova a vivere sempre le stesse, identiche (e per lui decisamente insopportabili) ventiquattr'ore.
Il suo è quasi un contrappasso dantesco; forse una punizione per la troppa smania di controllo, efficienza e velocità (tipica degli abitanti metropolitani), che lo schiaccia nell'eterno presente di una tranquilla, inoffensiva, paciosa (e anche noiosa) provincia americana.
Farà di tutto per uscirne fuori (perfino suicidarsi in tutti i modi possibili e immaginabili!), ma senza alcun risultato; ogni volta si risveglierà nel letto della sua camera d'albergo.
Quando Phil chiede a due tizi conosciuti in un bar “Cosa fareste, se foste bloccati in un posto e i giorni fossero tutti uguali e qualunque cosa non servisse a niente?”, uno dei due risponde: “Sembra la storia della mia vita”.
Tutto ruota attorno al meccanismo del già vis(su)to, del déja-vu (memorabile la battuta di Phil alla signora che gestisce l’albergo: “Ha mai avuto un déja-vu, signora?”. “Non so, vado a controllare in cucina”). Dalla costruzione ripetitiva delle scene, alla canzone che ogni mattina sveglia Phil (si tratta di "I've got you babe", nella versione cantilenata di Sonny & Cher), una filastrocca sempre più assillante, il cui testo riporta ancora una volta a una meccanica routine, ostinatamente chiusa su se stessa.
La coazione a ripetere inutilmente, disegna un soggetto condannato a essere un ingranaggio passivo, una semplice e trascurabile particella, che non ha più interazione con le altre particelle, ma che alla fine (forse) riuscirà faticosamente a trovare il suo posto, solo quando (inconsciamente?) rinuncerà di cercare il controllo sugli eventi attorno a lui, e, grazie al nascere di una consapevolezza più profonda ed istintiva, inizierà a esserne uno spontaneo ed entusiasta partecipe.
E' sicuramente uno dei miei film preferiti, perché sa essere profondamente introspettivo con estrema leggerezza, a suo modo filosofico e divertente (in Italia è stato fatto recentemente un remake, "E' già ieri" con Antonio Albanese, ma secondo me, molto inferiore all'originale... non tanto per l'ottima recitazione del protagonista, quanto perché - tanto per dirne una - la giornata che si ripete all'infinito, si svolge al mare e quindi non è così autenticamente - e necessariamente - fredda, noiosa e fastidiosa come il senso della storia richiederebbe).
Dall'idea di scegliere una festa popolare in cui la chiave di volta è "un animale che vede la sua ombra", alla metafora karmica dello scorrere dei giorni come lo scorrere delle vite, è un film che indubbiamente (aldilà della sua costruzione semplice e "buonista" da tipica commedia americana) fa pensare e riflettere in maniera assolutamente costruttiva e non banale.
Forse potrà lasciare insoddisfatti gli esteti della forma e delle storie complesse a tutti i costi (così come qualche critico integralista potrebbe anche storcere il naso), ma a me piace un sacco.
8/10 (formalmente) - 10/10 (sentimentalmente)
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Il secondo film invece, trattasi di
"The Prestige" di Christopher Nolan.
Dello stesso regista mi erano piaciuti anche gli altri suo film ("Memento" e "Batman Begins"), e devo dire che anche questo (che purtroppo mi era sfuggito alla sua uscita nei cinema) mi è piaciuto assai.
La storia non è affatto banale.
Ai primi dei '900, due prestigiatori che all'inizio lavorano insieme, cominciano ad invidiarsi l'un l'altro e ne scaturisce una specie di "faida" personale senza esclusione di colpi.
Ma la cosa che colpisce di più del film, è che "il prestigio" a cui fa riferimento la storia, non è solo il tema della trama del film, ma anche (e soprattutto) il modo in cui la storia viene raccontata.
Il regista è bravissimo a ricostruire tutta la storia completa, come un puzzle, partendo dalla fine e andando avanti a flashback, così come diventa via via sempre più chiaro, come il fatto che le parole "prestigio" e "illusione" possano avere molti altri significati (legati al potere personale e all'esaltazione del proprio ego) e che, nonostante il film non faccia altro dall'inizio, che dire di stare attenti a quello che si vede sullo schermo, alla fine si viene coinvolti in un vero e proprio "gioco di prestigio", tra quello che si percepisce e quello che realmente è (o che ci viene mostrato).
Non posso raccontare la storia nei dettagli, altrimenti svelerei il trucco (cosa che non è ammissibile per un prestigiatore),
i colpi di scena sono parecchi e le implicazioni etiche e filosofiche che nascondono, sono belle e profonde.
Posso solo dirvi che usare l'illusionismo per parlare di cosa sia l'illusione (in tutti i sensi) può sembrare banale. Ma in questo caso il risultato è veramente geniale.
9/10