Indice Sezione Creativa Mediateca > Lovecraft - I racconti onirici

Materiale informativo e di intrattenimento a tema onirico come libri, video, film, canzoni, documentari, opere d'arte, fumetti, videogiochi, serie tv e anime, e altro di attinente.
Tutto ciò che ritenete utile o di cui volete avere una recensione diretta.

Lovecraft - I racconti onirici

Messaggioda Danny » 21/09/2023, 23:22

H. P. Lovecraft è sicuramente uno degli autori di narrativa fantastica più conosciuti al mondo; anche chi non ha mai effettivamente letto nulla di suo, possiede comunque un’idea generale delle sue tematiche. Per intendersi: i “Grandi Antichi”, quelle divinità aliene piene di tentacoli e portatrici di follia, li creati proprio lui. Come pure il grimorio maledetto chiamato “Necronomicon”… Ok, ci siamo capiti!

Nella narrativa di Lovecraft un posto di tutto rispetto è occupato dai sogni; in particolare a inizio carriera, quand’era ancora un aspirante scrittore sbarbatello e si dedicava principalmente a racconti brevi (talvolta brevissimi, tipo una pagina!). Per tali opere, scritte più per piacere personale che per reali prospettive di pubblicazione, Lovecraft traeva ispirazione soprattutto dalla propria attività onirica. Era infatti un sognatore instancabile (lucido o no? Nessuno l’ha ancora capito… C’è chi suggerisce che fosse addirittura un viaggiatore astrale inconsapevole) e dotato di una memoria onirica formidabile. In effetti, Lovecraft visse con molta più intensità nei sogni che non durante la sua noiosa e disgraziatissima vita diurna. Il culmine di questo filone narrativo lo raggiunse nel famoso romanzo “La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath”, una vera e propria summa del pensiero lovecraftiano delle origini, prezioso soprattutto perché pieno di suggestioni tratte dalla sua infanzia e perciò colorato da una sfumatura di ingenuità e affetto malinconico.

Ho creato questo topic perché ultimamente ho ripreso in mano la mega antologia “Mammut” con l’opera omnia dell’autore, deciso a farmi una rilettura di quei racconti in cui la tematica onirica è preponderante, pubblicando di volta in volta delle mini-recensioni e riesaminandoli con l’occhio del sognatore lucido, cercando di cogliere quei particolari “sospetti” che in prima battuta mi erano sfuggiti. Ovviamente si tratta di qualcosa che proporrò a cadenza molto irregolare, sulla base di impegni lavorativi e tempo a disposizione; ma è un discorso che mi è molto caro e che certamente porterò avanti col tempo. Tutte le recensioni saranno ultra-spoilerose, siete avvertiti… E dai, si tratta di racconti che risalgono in media a ottanta/cento anni fa, non potete dire che vi ho rovinato la sorpresa!

Terminato il doveroso preambolo, si va quindi a cominciare…



OLTRE LE MURA DEL SONNO
Titolo originale: Beyond the Wall of Sleep
Anno di stesura: 1919


Il racconto si apre con una citazione dal Macbeth di Shakespeare (“Su di me sento la forza del sonno…”), quanto mai adeguata all’argomento trattato; segue l’incipit tipico dell’autore, il classico “pistolotto iniziale” in cui riassume il senso generale della storia che sta per raccontarci. Ho scelto di trascriverlo quasi per intero poiché lo trovo particolarmente significativo:

“Mi sono spesso domandato se la maggioranza dell’umanità si soffermi mai a riflettere sul significato titanico dei sogni e sul mondo tenebroso al quale appartengono. Anche se, per la maggior parte, le nostre visioni notturne forse non sono altro che vaghi e fantastici riflessi delle esperienze allo stato di veglia (oppure, come vuole Freud, riflessi simbolici puerili), vi è sempre un certo residuo il cui carattere ultraterreno ed etereo non consente un’interpretazione ordinaria, e il cui effetto vagamente eccitante e inquietante fa pensare a fuggevoli visioni di una sfera dell’esistenza mentale non meno importante della vita fisica, e tuttavia separata da una barriera quasi insuperabile. Sulla base della mia esperienza, non posso dubitare che l’uomo, perduta nel sonno la coscienza terrena, in verità si trovi a dimorare in un’altra vita incorporea, di natura molto diversa dalla vita che conosciamo, e della quale permangono dopo il risveglio solo memorie lievi e indistinte. (…) Qualche volta, credo che questa esistenza meno materiale sia la nostra vita più vera, e che la nostra vana presenza sul globo terracqueo sia un fenomeno secondario o semplicemente virtuale.”

Partiamo proprio col botto! Anzitutto, vorrei fare una precisazione: abbiamo tantissime testimonianze nelle quali Lovecraft si compiace di descriversi ateo e razionalista, cosa che personalmente non ho mai ritenuto veritiera. Forse è davvero così che lui si vedeva, o che si compiaceva di sembrare agli occhi altrui, fatto sta che ha trascorso la sua intera esistenza a fantasticare su mondi alternativi, divinità terrificanti e trattati di magia cerimoniale… Magari non credeva in queste cose a livello cosciente, ma sotto sotto ci sperava eccome, o quantomeno gli sarebbe piaciuto tantissimo che fossero reali! Diversamente non ci avrebbe mai investito così tante energie, considerato che la sua attività letteraria non proseguiva certo per questioni economiche (lo pagavano quattro lire, se e quando lo pagavano!), ma perlopiù sotto la spinta di una pressante esigenza interiore. Le frasi che ho riportato sottolineano proprio il suo attaccamento all’idea di poter accedere, tramite i sogni, a un diverso piano di esistenza, abbandonando il grigiore e la miseria della vita terrestre. Mi fa sorridere la stoccata a Freud, da lui definito anche “il ciarlatano di Vienna”… In effetti, quando riponi così tanta fiducia nel tuo mondo interiore, non puoi accettare con benevolenza che qualcuno arrivi a smontartelo pezzo per pezzo, riducendolo a un banale miscuglio di pulsioni fisiologiche e sessuali!

Superato l’incipit, si parte con la trama vera e propria. Il protagonista è il classico alter-ego dell’autore, privo di un nome; si intuisce trattarsi di un giovane medico, sicuramente brillante ma dal temperamento bizzarro, che lo porta ad essere un po’ emarginato dai colleghi (altro luogo comune dei suoi racconti). La vicenda si svolge in una clinica, forse situata nei pressi delle Catskills, una catena montuosa nello stato di New York. Qui viene internato tale Joe Slater, la cui descrizione spregiativa ci ricorda quanto fosse razzista l’autore (e vabbè, erano altri tempi…). Questo “repellente figlio d’un primitivo ceppo coloniale contadino (…) sprofondato in una degenerazione quasi barbarica” (aaargh!) è soggetto a singolari crisi che hanno luogo durante il sonno, quasi in uno stato alterato di coscienza. Slater sembra manifestare una personalità differente, facendo strani e oscuri riferimenti a “una grossa baita con il tetto, le pareti e il pavimento luminosi, e la strana musica lontana” nonché a un non meglio precisato nemico di cui brama vendicarsi “attraversando abissi di vuoto e bruciando ogni ostacolo”. In quei momenti, Slater tende anche a diventare aggressivo, tanto che a un certo punto ci scappa il morto; condannato per omicidio, è internato nella clinica dove lavora il protagonista, che quindi ha modo di studiare il suo caso.

Durante le crisi, “in una sorta di vita onirica semicorporea, Slater vagabonda o aleggia tra prodigiosi, risplendenti prati, valli, giardini, città e palazzi di luce, in una regione sconfinata e ignota all’uomo”. Le difficoltà nel descrivere efficacemente tali esperienze fanno concludere a Lovecraft che “se davvero esiste un mondo onirico, il linguaggio orale non è il suo mezzo per trasmettere il pensiero”. Questo è particolarmente interessante: nel mio piccolo, anch’io ho ipotizzato che la parola non sia il mezzo migliore per esprimersi durante i sogni, quanto piuttosto una sorta di telepatia che fonde insieme pensiero, sentimenti e finanche vere e proprie immagini mentali. Qui scopriamo che il giovane medico è praticamente un genio, visto che ha creato una macchina per la telepatia (ah, però! Niente nobel?) che sfrutta per sondare la psiche devastata di quel “montanaro idiota”. Nel corso della sconvolgente sequenza finale (Slater sta improvvisamente morendo per esigenze di trama), collegato alla sua mente tramite il prodigioso macchinario, il protagonista ha modo di assistere a visioni fuori dall’ordinario. E’ singolare com’è costruita la scena: prima il medico si addormenta, vinto dalla stanchezza, per poi ridestarsi in un paesaggio ultraterreno; sembra proprio la descrizione di un falso risveglio.

“Mi svegliò il suono d’una strana, lirica melodia. Accordi, vibrazioni ed estasi armoniche, echeggiavano appassionatamente tutt’intorno, mentre alla mia vista rapita si offriva uno stupendo spettacolo di bellezza suprema. Mura, colonne e architravi di fuoco vivo sfolgoravano intorno al punto dove mi sembrava di fluttuare nell’aria, e si estendevano verso una cupola infinitamente alta d’indescrivibile splendore. A questo spettacolo di magnificenza regale si mescolavano, o meglio, si sostituivano a volte, in rotazioni caleidoscopiche, visioni di immense pianure e valli amene, di alte montagne e grotte invitanti, ornate d’ogni amabile attributo panoramico che i miei occhi deliziati potesse percepire; e tutto era formato di un’entità plastica e splendente, la cui consistenza era partecipe tanto dello spirito quanto della materia.”

Che meraviglia! Ecco perché, nonostante tutto, non posso far altro che amare Lovecraft con tutta l’anima! Segue una precisazione notevole:

“Mentre osservavo, mi accorsi che era il mio cervello a detenere la chiave di quelle incantevoli metamorfosi; perché ogni panorama che mi si offriva era quello che la mia mente mutevole più desiderava contemplare.”

Questo è un palese riferimento agli ambienti onirici che vengono plasmati e modellati dal sognatore stesso, il che suggerisce che Lovecraft fosse consapevole di poterli influenzare con la sua volontà e probabilmente lo faceva in modo abituale durante i sogni.

C’è poi l’incontro con l’entità eterea che si impossessa di Slater durante le crisi; è infatti rimasta imprigionata nel suo corpo per motivi non chiari. Ora che finalmente “quel degenerato, più animale che uomo” sta morendo (ma basta! Abbiamo capito!), l’entità può finalmente tornare libera e inseguire la sua vendetta contro il misterioso nemico. I due conversano a lungo, tra sorprendenti rivelazioni:

“Io sono un’entità quale tu stesso divieni nella libertà del sonno senza sogni. Sono il tuo fratello di luce e ho vagato con te nelle valli fulgide. Non mi è permesso rivelare alla tua personalità terrena nello stato di veglia qual è il tuo vero io; ma siamo tutti vagabondi degli spazi immani, viaggiatori di molte ere. (…) Ci incontreremo ancora… forse nelle nebbie splendenti della Spada di Orione, forse su uno squallido pianoro dell’Asia preistorica, forse in sogni non ricordati, forse in un’altra forma, tra un eone, quando il sistema solare avrà cessato di esistere.”

Questo dialogo richiama il desiderio più volte espresso dall'autore nel corso della sua vita di affrancarsi dal corpo fisico e viaggiare nell'immensità del cosmo come essere disincarnato. Infine, l’entità prende commiato e l’orribile Joe Slater muore del tutto. Quando il protagonista prova a raccontare l’accaduto ai colleghi, ovviamente non viene creduto, tanto che il primario gli prescrive una cura per l’esaurimento nervoso e gli accorda una lunga vacanza retribuita… Dai, che ti è andata di lusso! Potevi finire i tuoi giorni in manicomio, come succede di solito ai personaggi di Lovecraft.

Nel complesso, dunque, “Oltre le mura del sonno” è un buon racconto “minore”, costruito su un equilibrio perfetto tra meraviglia e inquietudine, come, a mio parere, dovrebbero sempre essere le storie ispirate al mondo dei sogni.
Danny
 
Messaggi: 61
Iscritto il: 01/06/2023, 10:17
Ha  fatto 'Mi piace': 19 volte
'Mi piace' ricevuti:: 40 volte

Torna a Mediateca

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 59 ospiti