Riprendo l'argomento al solo scopo di delineare i confini delle affermazioni formulate negli ultimi interventi e ricondurre la discussione sui binari di un ragionamento oggettivo e condivisibile, ovvero l'unico filo con cui poter tessere una trama razionale sull'argomento coscienza, nel tentativo quindi di cucire un tessuto dialogico che sia scevro di presupposti o assunzioni metafisiche che, sovente, non ho il potere nè di dimostrare, nè di confutare. Cercherò inoltre di fornire validi riferimenti bibliografici alle mie riflessioni per estendere il punto di osservazione dei lettori, in modo da motivare puntualmente ogni mia asserzione, così come ho già fatto negli interventi precedenti, arricchendo la consapevolezza generale sull'argomento, nell'economia di un ragionamento lineare ed intelligibile.
Partendo dalle affermazioni di nagual circa la precedenza della coscienza sull'esperienza umana, non vedo purtroppo nessun indizio sul ruolo prominente che tale coscienza riveste rispetto all'esperienza, dal momento che non vi sono prove evidenti di casi in cui la coscienza, già a partire dalla vita in utero, può fare a meno dell'esperienza. Prima della nascita della scienza, ovvero di una disciplina fondata sull'esperienza, nessuna speculazione metafisica ha mai tracciato la rotta di una conoscenza puntualmente verificabile che preceda in modo fenomenico, se non magari incidentalmente, un'esperienza disincantata e diretta dei fenomeni naturali. Per comprendere il fatto che la coscienza non riveste nessun ruolo particolare nel nostro universo, rimando al seguente link:
https://www.youtube.com/watch?v=jkcLURsSNTk.
Ancora, nagual asserisce che il materialismo si basa su assunzione metafisiche, senza tuttavia specificare a quale scuola di materialismo egli fa riferimento. Se per materialismo intendiamo l'atteggiamento fisicalista e strumentalista, ovvero il concetto secondo il quale i fenomeni naturali possono venire descritti da una misura e dall'esperienza pratica, allora non vedo come tale scuola possa oggi venire confutata da qualcuno. Quindi la misura è un metodo operazionale di descrizione della realtà che mette tutti d'accordo, dal momento che tutti hanno gli strumenti sensoriali e concettuali per poterla saggiare. Un'altra speculazione di nagual è quella secondo la quale, dal momento che tutto può sembrare relativo, allora, portando il ragionamento alle sue estreme conseguenze, tutto potrebbe in ultima istanza risultare caotico ed indeterminato. A mio avviso, simili ragionamenti si appiattiscono sull'idea che nella vita può valere tutto ed il contrario di tutto, degenerando in un atteggiamento nichilista che non solo di per se non è una risposta alle domande filosofiche, ma toglie alla ragione ogni predicato basato su un senso positivo delle affermazioni, autorizzandoci a legittimare e a mettere sullo stessa prospettiva anche le visioni più controverse e improbabili. Comunque, riguardo alla determinatezza del mondo, se ad esempio chiamiamo in causa la termodinamica, sappiamo che, una volta definite le coordinate termodinamiche di un sistema di particelle(es: pressione, temperatura, volume, entropia, entalpia, ecc..), in quel momento il sistema avrà caratteristiche riproducibili soltanto per quelle precipue condizioni, Tali caratteristiche, ivi comprese ad esempio il colore, l'odore, il sapore, ecc.. se riprodotte, sono valide in tutto l'universo e sono consistenti con le stesse leggi che spiegano la forma, la tipologia e la disposizione delle stelle, dei pianeti e delle galassie, rafforzando i principi su cui si basano le nostre osservazioni. Pertanto, se tali principi appaiono comprensibili, solidi e sono in grado di fornire delle predizioni valide, sarà possibile in ultima analisi provare a spiegare, attraverso il linguaggio della scienza, persino l'esistenza di fattori che possono oggi apparire astratti o fuori dalla nostra portata:
http://phys.org/news/2015-01-explores-u ... ality.html,
http://phys.org/news/2015-01-re-creates ... giant.html Quindi l'analogia col fatto di credere di aver visto un leone o un drago dall'osservazione della forma delle nuvole, come semplice bisogno soggettivo ed illusorio di trovare pattern accomodanti, non mi sembra un ipotesi percorribile: la scienza appare molto più solida e consistente delle nuvole. Un'ulteriore osservazione fatta da nagual è quella secondo la quale se vogliamo esplorare la coscienza dobbiamo per forza partire da noi stessi.Conosci te stesso, recita la filosofia. Ma non credo che basti: se avessimo vissuto sempre da soli in un'isola deserta, senza nemmeno uno specchio per riflettere la nostra immagine e senza qualcuno con cui poter comunicare, certamente avremmo conosciuto ben poco della nostra coscienza. L'unico modo per conoscere se stessi è proprio quello di confrontarsi con la diversità dei propri simili. Ma al giorno d'oggi anche organismi evolutivamente poco distanti da noi, come i topolini o altri mammiferi usati nei laboratori, possono rappresentare validi modelli per esplorare aspetti della nostra coscienza. Quindi non vedo come la conoscenza della propria coscienza possa prescindere dalla conoscenza di altri "modelli campione", così come la traiettoria di un pianeta non può prescindere dall'esistenza di un altro pianeta rispetto al quale tale traiettoria viene descritta. La conoscenza dell'anatomia umana non avrebbe fatto alcun passo in avanti se avessimo dovuto dissezionare noi stessi, in quanto saremmo morti all'istante. La conoscenza della nostra anatomia come di altri aspetti del nostro corpo, del nostro cervello e del nostro ambiente, ha avuto inevitabili implicazioni sulla nostra coscienza. Il linguaggio è anch'esso uno strumento che non può nascere senza un'interazione con i propri simili e che ci permette di delineare i confini del mondo in cui viviamo. Un filosofo esistenzialista come Jean Paul Sartre definisce la coscienza come "tutto ciò che si può comunicare". Quindi, per concludere questo punto, l'esperienza non è sempre soggettiva. L'esperienza qualitativa, quella si, può essere soggettiva anche se può anch'essa oggettivarsi in un sentire comune che permette di costruire una morale collettiva in un tempo ed in un luogo definiti della nostra storia, mentre l'esperienza empirica, cioè quella basata sulla misura, è oggettiva, perchè soggettivamente condivisa dal 99,9% delle persone, che guarda caso appaiono molto simili tra loro anche anatomicamente e sul piano comportamentale, anche in un contesto filosofico di tipo idealistico (2+2 fa sempre 4 tranne che per lo scemo del villaggio). Veniamo ora ai punti da investigare di cui parla nagual:
1)-Il rapporto tra la consapevolezza, l'esistenza e la memoria .
Come già accennato nei miei precedenti interventi la scienza sta già investigando su tali aspetti. Infatti a) è possibile innestare false memorie nelle cavie; b) è possibile invertire le associazioni tra ricordi ed emozioni; c) è possibile far entrare una cavia da uno stato di riflessione ad uno di azione; d) indurla ad avere appetito quando ha già mangiato; e) farle avere paura quando non dovrebbe; f) farla entrare in fase REM e farla sognare; g) resuscitare ricordi della memoria a lungo termine; h) trasferire il ricordo di una cavia in un'altra cavia e valutarne il comportamento. Si conoscono anche le basi neurali e bio-molecolari che presiedono alla formazione della memoria. Negli esseri umani è invece possibile: a) trasferire parole da un soggetto ad un altro; b) estrarre visioni o sogni dalla mente; c) indurre sogni lucidi; d) attivare memorie a lungo termine; e) comandare il sistema nervoso periferico con la forza del pensiero, ecc.. Inoltre, l'idea di essere "consapevole di essere consapevole" o "cogito ergo sum" può essere spiegata in termini neurobiologici come ad esempio nel caso delle teorie di Graziano o di Tononi, il quale fornisce appunto una misura su ciò che egli definisce "stato di coscienza" e fa previsioni che sono state confermate sperimentalmente, come conviene ad ogni robusta teoria scientifica che si rispetti. Negare a priori questi progressi in campo scientifico e trincerarsi in una visione metafisica di comodo, oltre che apparire disonesto non mi sembra tanto utile, dal momento che grazie a queste scoperte abbiamo finalmente una spiegazione del fenomeno coscienza, che, per quanto imperfetto, è basato appunto sul metodo oggettivo della misura.
2-Il rapporto tra consapevolezza, percezione e il sognare.
Anche in questo caso il metodo scientifico ci viene in contro e ci fornisce delle risposte oggettive, dal momento che: a) si conoscono gli stadi del sonno messi in relazione ai tracciati neurofisiologici; b) è possibile indurre sogni lucidi on demand; c) è possibile indurre OBE e stati mistici dissociativi on demand; d) è possibile conoscere l'anatomia del cervello in rapporto al fenomeno dei sogni:
https://frrl.wordpress.com/2010/08/29/t ... on-demand/http://medicalxpress.com/news/2015-01-l ... eness.html ;
http://medicalxpress.com/news/2015-01-c ... .html#nRlv ;
http://medicalxpress.com/news/2011-10-b ... .html#nRlv ;
http://phys.org/news177232375.html#nRlv .
3-Rapporto tra coscienza e conoscenza e volizione.
Non è il sapere la meta da perseguire, dato che la realtà stessa è un flusso in divenire che presto o tardi potrà mutare. La conoscenza è semmai un bisogno connaturato nell'uomo come atteggiamento obbligato verso la natura, cioè il bisogno di farsi delle domande sui fenomeni che lo circondano. La conoscenza cioè non è il fine, ma il mezzo a cui l'uomo è costretto per vivere nella realtà che lo circonda. E' il suo modo necessario di porsi davanti ai fenomeni, con atteggiamento indissolubilmente critico, suo malgrado. Attenzione però: secondo il filosofo Willard Van Orman Quine, non basta l'evidenza empirica per stabilire l'oggettività di un fenomeno, poichè la funzione fondamentale dell'intelletto nel consentire una conoscenza obiettiva della realtà non è separabile dalla funzione di consentire un'efficace azione su di essa[la realtà]. Quindi solo quando una legge ci permette di agire su un fenomeno e riprodurre i comportamenti che su di esso abbiamo predetto, potremmo finalmente dire di aver strumentalmente raggiunto la conoscenza oggettiva su quel fenomeno, privilegiando la pratica e la concretezza rispetto alla teoria, agli schemi astratti e ai principi ideali. Il fatto che nel nostro mondo materiale esista una corrispondenza così puntuale tra caratteristiche del cervello e comportamento della mente, non può essere liquidato semplicemente come frutto di una mera accidentalità. Risulta evidente che tali fenomeni della mente hanno basi materiali e riduzionistiche e quindi, semmai, la metafisica dovrebbe compiere lo sforzo di spiegare il perchè tali basi esistano e possano essere riprodotte materialmente se poi, come asserisce tale metafisica, tutto può realmente prescindere da esse. Le crescenti prove neuroscientifiche a favore dell'esistenza di una base materiale della coscienza consentono di entrare nel dominio di una "verifica forte" (nell'accezione adottata dai filosofi della scienza del Circolo di Vienna) riguardo alla proposizione che, appunto, "la coscienza ha basi materiali". Comunque, se per assurdo esistesse una coscienza(spirito) che precede l'essenza(materia), allora tale coscienza si sarebbe finora dimostrata cieca e inconsapevole sul piano degli effetti da essa esercitati sull'esistenza materiale, poichè, stando alle leggi della natura e dell'evoluzione, l'universo è dovuto passare attraverso zilliardi di tentativi non andati a buon fine prima di generare delle forme stabili di vita che acquisissero consapevolezza di se stesse. L'uomo si trova in un universo imperfetto ed ostile che genera morte e dolore. Un universo dominato dalle leggi del caos. Quando con la nascita dell'essere umano la consapevolezza ha messo piede nel piano di esistenza materiale, essa non ha dovuto ripercorrere la strada cieca dell'universo per generare forme stabili e armoniose, nel senso che l'esperienza che segue la coscienza ha permesso di concepire la scienza, l'arte, la musica, le quali a loro volta hanno permesso di creare un mondo sempre più armonioso, stabile ed ordinato. Quindi l'esperienza che viene dopo la coscienza è comunque un'entità di gran lunga più armoniosa di una coscienza che precede l'esperienza, poichè quest'ultima ha dovuto unicamente contare sulle leggi del caos e ha dovuto distruggere e ricomporre la materia più e più volte, per circa 11,5 miliardi di anni, prima di arrivare ad una forma di equilibrio quasi stabile (l'ordine intrinseco degli organismi viventi). Senza una esperienza che segua la coscienza, cioè senza la mente umana, si ritornerebbe al massimo ad una coscienza che precede l'esperienza (la presunta coscienza dell'universo o protocoscienza) che continua indomita il suo percorso cieco di creazione/distruzione. Quindi la consapevolezza umana , come tutte le forme di vita, tende alla propria autoconservazione e in quanto tale, una volta presa coscienza di sè, si rifiuta di tornare nel limbo della coscienza cieca e indeterminata, cioè quella ipotetica forma di protocoscienza che potrebbe essere scritta nell'essenza dell'universo, magari in qualche altro piano metafisico di esistenza. Questo rifiuto a tornare nel limbo spiegherebbe perchè l'uomo ha sempre avvertito l' esigenza di creare i miti delle religioni (esorcizzare la paura della morte) oppure, come accade nei tempi in cui stiamo vivendo, usare la scienza per comprendere le leggi che governano le forme di vita e tentare di darsi una prospettiva futura di immortalità. La cosa interessante è scoprire il fatto che più l'essere umano esplora se stesso e più trova il modo di vivere a lungo, curare le proprie malattie, migliorare il proprio tenore di vita, aumentare la propria consapevolezza del mondo materiale che lo circonda, sollevarsi dai limiti di una natura cieca ed ostile, allargare le sfere di convivenza con i suoi simili: queste possibilità sono cioè scritte nelle leggi fisiche della natura e sono a portata di mano del nostro intelletto.
Tutte le scoperte sull'anatomia, la fisiologia, la biochimica, la genetica e la memetica dell'essere umano non appaiono vane, ma sembrano un invito a cercare di sfruttare le leggi della natura per ottenere la possibilità di vivere non fuori, ma dentro il piano di esistenza materiale, nella forma di esseri immortali che godano di piena salute, altrimenti dovremmo concludere che l'esistenza di tutte queste leggi fisiche, chimiche e biologiche, così ben decodificabili dall'esperienza umana, rappresentano solo un mero inganno atto a soddisfare il capriccio di qualcuno (es: vivere in una simulazione) o che le leggi fisiche ordinate dell'universo sono solo un vano artefatto che non ha nessun reale significato rispetto alla vera essenza metafisica dell'universo (visione nichilista e relativista che appiattisce tutto, da cui sono nate le peggiori dittature o ordini di potere occulti, esoterici e manipolatori delle coscienze). A riprova delle mie affermazioni sappiamo che esistono già in natura alcuni "errori dell'evoluzione" che hanno portato alla nascita di forme di vita virtualmente immortali, come nel caso di alcuni semplici celenterati:
http://it.wikipedia.org/wiki/Turritopsis_nutricula o altri invertebrati:
http://it.wikipedia.org/wiki/Immortalit%C3%A0_biologica ,
ma anche alcuni vertebrati a sangue freddo. Perchè dunque non contemplare l'immortalità anche per gli esseri umani? Perchè non assecondare il principio di conservazione delle forme di vita coscienti? Perchè quindi non accettare in ultima istanza la coscienza nella forma epifenomenologica finora più evoluta e cioè il cervello umano? Passiamo avanti, parlando della parte scritta da PK2 e quotata da nagual:
[...]Ecco che in entrambi i casi, se vuoi eseguire tu l'esperimento, avrai probabilmente bisogno di anni di tempo. Nel caso dell'esperimento di fisica dovrai studiare a livello universitario, per capire le implicazioni dell'esperimento, dovrai avere la tecnica e i mezzi per replicare l'esperimento e trarne gli esiti. Insomma ti ci vorranno anni.
Idem nell'altra sperimentazione, in cui dovrai prima acquisire gli strumenti per verificare l'esistenza della dimensione superiore, strumenti che sono ovviamente interni a te, in pratica devi sviluppare una sorta di senso nuovo che vede nella dimensione detta, e poi osservare direttamente il contenuto di quella dimensione. Anche qui ti ci vorranno anni.
Quindi come vedi la verificabilità non è prerogativa solo della scienza, anzi di questi tempi gli esperimenti sono così complessi che diventano difficilmente verificabili da tutti (se non impossibili da). Pensa solo alla scoperta della particella di Higgs: davvero tu saresti, diciamo nei prossimi venti anni, in grado di verificare tutto il percorso che ha portato a dedurne l'esistenza? [...]
Mi permetto allora di rispondere con il seguente aneddoto:
[...] Nella prima metà dell’Ottocento, lo scienziato inglese Michael Faraday (1791-1867) stava conducendo alcuni esperimenti sull’elettromagnetismo. Il Primo Ministro inglese dell’epoca osservava questi esperimenti in modo dubbioso. “Interessante, ma a cosa serve tutto questo?”, obiettò il Premier. E Faraday rispose: “Guardi, su due piedi non glielo so dire, ma sicuramente il suo successore ci metterà sopra una tassa”. Anche se questo aneddoto si ritiene storicamente falso, viene comunque ricordato a monito della miopia senza tempo dei governanti nei confronti della ricerca scientifica. Ed è con questo aneddoto che il Professor Eugenio Coccia, Direttore dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS) di Assergi (L’Aquila), vuole richiamare l’importanza delle ricerche in atto nei tunnel del Gran Sasso sulla materia oscura. «A tutti gli effetti, dalle ricerche di Faraday siamo giunti poi ai motori elettrici e agli strumenti alimentati a corrente elettrica che hanno trasformato la nostra vita. E tutto ciò nasce da una curiosità quasi istintiva e da una sete di conoscenza fine a se stessa.» [...]
In soldoni ciò significa che tutto quello che può trovare un'applicazione in ambito tecnologico, comprese le scoperte più complesse, troverà subito sbocco nella produzione di dispositivi che sfrutteranno i principi di tali scoperte (pagandoci sopra una tassa o il costo del servizio,
) e pertanto, oltre all'indubbio vantaggio per il genere umano, la riproducibilità di tali scoperte sarà implicita nel dispositivo stesso, magari riprodotto in milioni e milioni di copie. Questo vale anche per i complessi fenomeni di fisica quantistica che operano nei transistori dei nostri computer mentre stiamo scrivendo sulla tastiera. Comunque per dimostrare a se stessi che la scienza funziona e i fenomeni sono riproducibili, non è per forza necessario avere la laurea e o aver studiato 30 anni, ma basta partire dai più basilari esperimenti eseguibili in un semplice laboratorio di fisica di scuole medie o superiori. Se la scienza funziona per i fenomeni basilari, allora non vedo perchè non dovrebbe funzionare anche per i fenomeni più complessi, la cui riproducibilità è comunque garantita per le ragioni precedentemente esposte. --- Infine rispondo ad una domanda posta da nagual:
"Il fatto è che la conoscenza razionale sembra nient'altro che una catena di ipotesi generate da inferenze non-deduttive, considerazioni euristiche, e mantenute in base alla loro plausibilità (rispetto alla conoscenza che già si possiede)... in una visione del genere che valore conserva il processo deduttivo ed in generale il metodo sintetico? "
Risposta: per l'esattezza la scienza si avvale di due metodi di indagine: il metodo induttivo ed il metodo deduttivo, convenientemente usati in relazione al quesito che la scienza si pone e al tipo di fenomeno naturale su cui indagare. Il valore che tali metodi conservano è sotto gli occhi di tutti: la riproducibilità dei risultati (gli aerei volano, le automobili camminano, le centrali elettriche producono energia, la gravità fa cadere i corpi verso il centro di massa dei pianeti, la mutazione dei geni produce certi fenotipi, ecc..). Passo adesso ad alcuni commenti fatti da Filippo. Caro Filippo, se a tuo avviso l'universo non ha limiti fisici dovresti trovare un modo per dimostrarlo, altrimenti dovresti assumere una più onesta posizione secondo la quale non puoi stabilire in anticipo se tali limiti esistano o meno. Analoghe considerazioni valgono sull'affermazione riguardo alla quale l'universo è in stretta relazione col tutto che è se stesso. E' già una contraddizione in termini dire che tutto è infinitamente in relazione con tutto e che, allo stesso tempo, dal basso dei nostri sensi e del nostro intelletto, non possiamo vedere oltre il nostro naso. Certamente non puoi sapere se ad esempio in questo momento io ho mal di pancia o meno proprio perchè io e te siamo separati. Ammettendo che l'universo sia finito e che tutto sia in relazione con tutto, considerato che tale universo sarà costituito da infinite parti tra esse finite (ogni oggetto ha una sua dimensione e delle sue proprietà misurabili), allora l'unico modo per dimostrare tale relazione sarebbe ad esempio fare una predizione puntuale su qualcosa di imprevedibile, come per esempio stabilire se in data x e nel luogo y un contatore geiger potrà misurare il decadimento radioattivo di una particella z e metterlo in relazione con un qualche altro evento analogo magari presente in una lontana galassia, ma capisci bene che nessuno finora è mai stato in grado di fare simili previsioni. Come affermi correttamente, noi abbiamo i nostri limiti e un limite è per antonomasia una separazione. Non possiamo affermare che una misura non esiste e che sia tutto un illusione poichè tale presunta illusione si manifesta comunque attraverso una misura e non abbiamo altro strumento al di fuori della misura per stabilire cosa è e cosa non è. L'asserzione che l'universo è infinito o è tutt'altro che separato è quindi una speculazione metafisica che purtroppo, a differenza di te probabilmente, non posso dimostrare. Posso semmai dimostrare il contrario: se dai uno sguardo al seguente articolo:
http://phys.org/news/2015-01-popper-againbut.html ,
allora scoprirai che l'esperimento di Karl Popper:
http://en.wikipedia.org/wiki/Popper%27s_experiment sul principio di realismo scientifico:
http://it.wikipedia.org/wiki/Realismo_(filosofia)
e di separazione indipendente delle particelle correlate mediante entanglement quantistico, ha trovato nuove conferme sperimentali, oltre quelle già ottenute da Kim and Shih nel 1999, in accordo anche con la visione di Albert Einstein, convogliando l'attenzione degli scienziati sul principio di località a dispetto del principio di non località. Se dai uno sguardo al seguente forum:
http://www.researchgate.net/post/How_ma ... e_universe ,
allora avrai una stima sulle dimensioni dell'universo che potrai mettere in rapporto con le dimensioni della mente umana:
http://www.scientificamerican.com/artic ... -capacity/ .
L'idea che la mente umana possa da sola avere una percezione della grandezza dell'universo, magari comprimendo tale informazione in mp3(rapporto di compressione di circa 11:1), in modo da poter ricostruire l'intera informazione una volta sbobinata, mi sembra un'idea non percorribile dato l'enorme divario dei due ordini di grandezza (intendo tra mente umana ed universo).
Invece, a proposito della tua riflessione sulla cultura cristiana, non dimentichiamo che tale cultura è quella che ha dato origine alla nascita della fisica (oltre all'abolizione della schiavitù), così come la cultura musulmana ha dato origine ai numeri e all'algebra. Se la fisica e i numeri non fossero stati inventati, allora forse ancora oggi distoglieremmo l'attenzione dal mondo reale e decideremmo tutti di vivere in una dimensione trascendentale e meditativa, ma ciò non ci metterebbe al riparo dalla miseria, dalle epidemie, dalle bestie feroci, dalle carestie, dalle intemperie, dall'arretratezza materiale e dalla superstizione. Quindi, in conclusione, dire che l'universo è infinito, che tutto è collegato o necessario a tutto il resto o che la misura dei fenomeni fisici è solo un'illusione, sono tutte formule che rientrano in quell'alveo di affermazioni che, senza un'evidenza sperimentale, stanno sullo stesso piano di affermazioni del tipo "Le divinità greche esistono" o "E' Babbo Natale a portare i doni ai bambini", posizioni rispettabilissime sul piano della fede personale, ma che restano indimostrabili. Vi sono invece evidenze sperimentali che tendono ad affermare il contrario. Se comunque, ciò malgrado,in nome della nostra metafisica vogliamo rifiutare ogni punto di riferimento con la realtà e mettere tutto in dubbio senza tuttavia riuscire a presentare un modello che possa dare una spiegazione alternativa, allora temo che questo è quello che ci aspetta in senso metaforico:
http://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_Babele.