È stato difficile scegliere i due prescelti... moolto difficile, ma partecipo con questi due, non perché siano i peggiori o paurosi o disturbanti, anzi... non lo sono affatto rispetto ad altri. Ho scelto questi perché quelli più raccapriccianti mi disturbavano molto e il solo rileggerli mi provocava sensazioni non positive: potevo condividerli per liberarmene un po’, certo, ma l’ho già fatto quando li ho scritti nel diario e credo che riscriverli un'altra volta, magari ricontrollando per eventuali errori, non possa farmi bene. Inoltre erano una successione di scene esageratamente colme di violenza, anche se so bene che pur essendo di questa natura c’è anche in essi un significato profondo e assolutamente meritevole di essere osservato. Perciò, ho ritenuto più utile per me condividere due incubi (che mi hanno turbata moltissimo quando li ho avuti, anche se meno di altri) che seppur non siano molto spaventosi ritengo molto significativi e/o contenenti una sorta di filo logico e significati che magari non ho colto.
La città delle maschere d'acciaio
Sono ad una strana stazione del treno, che si trova in mezzo ad una città o paese. È vecchia, ma più che vecchia è malmessa, sporca, precaria, senza un tetto solito. Quest'ultimo è costituito solo da qualche lamiera e qualche pezzo di plastica verde pericolante. E non ci sono neanche le rotaie, ma sono ugualmente convinta che sia una stazione. Una lastra di plastica, che tra la ferraglia e gli attrezzi arrugginiti riparava di un poco dal vento gelido, cade dalla struttura, che rimane definitivamente a cielo aperto. C'è molta neve, e fa molto freddo. Sono scocciata dall'inefficienza dei mezzi di questo strano e misterioso posto; quindi, mi reco alla destra della strana stazione, dove altre lastre di plastica dura verde coprono un'area, che sembra più una stalla che una sala d'attesa, adibita a quest'ultima. Almeno ho un parziale scudo contro i venti gelidi che spirano, penso, che però non si sentono. C'è un silenzio assordante. La neve, l'enorme coltre di neve, ovatta tutto e allo stesso tempo amplifica il silenzio che avvolge questa strana città deserta.
All'improvviso vedo passare uno strano pullman davanti a me. Non si ferma, passa dritto: faccio per seguirlo con una certa fretta e appena il mio sguardo cade sulle persone dentro noto con inquietudine che molte di loro mi fissano, ma non sono occhi, quelli che mi guardano, bensì maschere d'acciaio: le stesse del vecchio avatar di NeuroEngineer (erano fatti così:
https://images7.alphacoders.com/344/thu ... 344328.jpg). Mi inquieto, tiro fuori il cellulare e scatto loro tre foto, che però escono un po' mosse, poi mi nascondo in preda al panico e allo stupore. E' tutto surreale. Giro per la città innevata e noto che non c'è proprio nessuno e che tutte le case sono sigillate, alcune chiuse da pezzi di legno inchiodati uno sopra l'altro. Arrivo davanti quello che mi sembra un hotel, o cose del genere, ed entro sfondando la porta con un calcio frontale. Noto subito l'aria inquietante, da film horror. È un edificio vecchio, con architettura sconosciuta ma dalle sfumature grottesche, forse gotiche. La struttura interna, così come il mobilio, è surreale, criptica, labirintica. Non saprei neppure descriverla. C'è poca luce e quella che filtra dalla minuscola finestrella posta in alto alla misteriosa stanza bruna in cui mi trovo è grigiastra. C'è molta polvere e i colori predominanti sono il nero, scuro come la pece, e il viola. Sembra di essere in una qualche camera sotterranea di un castello della Transilvania. Le persone sono strane. Arriva una donna dall'aspetto inquietante che dice qualcosa. Non ricordo cosa, so solo che non capisco cosa accidenti dica. Indossa vestiti simili a quelli bavaresi tradizionali, è inespressiva, seppur con un accenno di sorriso e gli occhi vacui. Mi fa pensare ad una figurina simile a queste
https://i.pinimg.com/originals/49/c6/b2 ... f358fd.jpg ma indossa un abito bavarese verde ed ha un aspetto decisamente meno allegro e giocoso. Nell'istante in cui si volta, con uno scatto innaturale, scopro qualcosa che mi fa venire l'ansia ancor di più. Con scatti e suoni d'ingranaggi arrugginiti si volta, fa una specie di curva a U e sale di un metro, rimettendosi in posizione a scatti.
È una marionetta. A grandezza naturale. Mi inquieto e comincio a urlare se c'è qualcuno, qualcuno di reale. Scorgo un uomo anziano, ma sembra ignorarmi. Non può sentirmi. Mi ignora, ma sa che sono lì. Non ricordo se mi guarda. Provo ancora più ansia e agitazione, ho paura di cosa potrò trovare. E lui? È umano? Guardo alla mia sinistra, poi sposto lo sguardo lentamente verso il centro cercando una via di fuga che non mi porti nuovamente nella città: l'unica via è una porta, anzi, un'apertura rettangolare da cui vedo solo il nero più profondo. Ho tremendamente paura di cosa possa trovarci se decidessi di addentrarmi lì.
Scappo, comincio a correre senza sapere dove andare. Decido di uscire fuori, perché l'interno di questa struttura sembra prolungarsi verso antri e caverne oscure che non promettono proprio nulla di buono. Esco fuori, voglio uscire da quel folle posto. Ciò che non so e che fuori c'è ancora più follia e terrore di quanto temessi.
Quando esco ritrovo la stessa città folle e strana di prima, ma avverto subito delle urla. Mi accorgo che qualcosa non va, ma sono confusa, è tutto troppo surreale. Comincio a passeggiare con una certa ansia e con il passo accelerato, senza correre e facendo attenzione, e cerco qualche altra porta o delle persone. Mi accorgo che non c'è proprio nessuno. Dove sono finite le persone? Dove mi trovo? Perché quelle maschere? Vedo qualcun altro con le maschere e scappo, mi nascondo. Ho paura di quelle maschere. Perché la indossano soltanto alcuni?
Passeggio ancora. Ci sono metri e metri di neve fresca, che si accumula in collinette soffici e candide che nessuno può spazzare o calpestare, perché non ci sono le persone. Non c'è nessuno se non io e le figure con le maschere d'acciaio. Cerco riparo, perché è gelido, anche se non sento molto freddo perché sono coperta da una tuta da neve. Mi pare di trovarmi in una città tedesca come Monaco di Baviera o in altre di quello stile. D'altra parte, la marionetta di prima sembrava uscire da un orologio che ho visto in una piazza a Monaco, il Glockenspiel/Rathaus. Da qualche parte, forse su un'iscrizione in maro, leggo che è il 1941. Leggo anche altre cose a proposito delle donne e dei loro diritti su un avviso di legno dipinto a mano e appeso con dei chiodi ad un muro e lo strappo con forza. Non so perché lo faccio: è scritto in corsivo, in giallo e arancione, con allegria. Ma io lo strappo con estrema rabbia. Speravo potesse aiutarmi a capire qualcosa sulla città, invece no. Dopo un po' sento urla raccapriccianti, ancora e ancora. Scappo. Scappo, ma non so dove scappare. Le sento ancora, sempre più forti, e questa volta sento nitidamente urla di mostri che squarciano persone. Tutto ciò è folle, è folle! Dove scappo? La città è senza porte. O meglio, le porte sono sigillate. Le uniche "persone" che incontro sono senz'anima e senza corpo e altre sono marionette dallo sguardo e il sorriso fisso e disturbante che seguono percorsi a scatti, percorsi meccanici, e tornano al loro posto nell'orologio. E poi ci sono quelle maledette maschere inquietanti. L'interno dell'unico edificio-hotel in cui sono stata aveva l'aria di un film horror a tutti gli effetti misto a videogiochi dell'orrore. Sono in trappola. Scappo. Trovo una specie di arco di mattonelle sotto cui c'è probabilmente della legna da ardere per l'inverno. Non è scavata totalmente. Non potrebbe mai permettermi di nascondermi totalmente, ma non so dove altro andare e non c'è più tempo: mi inginocchio lì davanti e rimango immobile. I mostri arrivano anche dove sono io. C'è una specie di specchio davanti a me, un qualcosa attraverso il quale posso vedere cosa succede dietro di me. Faccio tutto questo pochi attimi prima che possano arrivare e vedermi. Non posso nascondermi, però. Dietro di me c'è una piazza enorme e aperta e io sono semplicemente tra due vasi sotto una rimessa per la legna che è totalmente aperta, non mi nasconde in alcun modo. Spero solo che non mi riconoscano perché ingannati dal mio giubbotto/tuta nera da neve. E' la mia unica speranza, quella di confondermi con un oggetto grazie alla tuta da neve.
Sento sbranare le persone, lo sento chiaramente. I mostri poi raggiungono anche me e qui ho decisamente la paura fuori controllo. Cerco di rimanere calma e perfettamente immobile e con la faccia ancora rivolta verso il muro, ma dentro provo una paura folle e sono convinta che presto verrà il mio turno. Cerco di fingere di essere un qualche oggetto, posato lì come i vasi, che non hanno alcun fiore.
Arriva un lupo che all'inizio credevo fosse grigio, poi mi accorgo che è bianco. Temo che mi ucciderà, invece mi annusa. Credevo mi avrebbe sbranata brutalmente e invece mi annusa. Sento il suo muso umido e la pelliccia folta e bagnata che sfiora il mio corpo e le mie mani. Mi annusa curiosamente. Io sono ancora accucciata con la faccia rivolta verso lo specchio. I mostri sono quindi lupi, e sbranano persone in una frazione di secondo, poi le trasformano, non capisco se in altri lupi o altro. Vedo solo una grossa nube bianca quando le sfiorano e il suono, il verso raccapricciante degli squarci e dei mostri che uccidono e aggrediscono con violenza. Lo scenario è raccapricciante, violento, e surreale. Il silenzio sordo fa da contrasto assoluto con i suoni striduli e terrificanti degli squarci e della morte che viene generata ogni istante con assoluta violenza. Il lupo bianco, nel frattempo, è seduto curiosamente alla mia sinistra e si fa i fatti suoi silenziosamente. Rimango immobile e cerco di limitare persino il respiro.
Vedo questo lupo solo bianco seduto al mio fianco solamente attraverso questa sorta di riflesso, che in realtà è su una specie di tavola di plastica leggermente trasparente e che riflette la sua figura. Arriva anche un altro lupo, grigio scuro, che mi sembra inizialmente più cattivo e più grande dell'altro, ma che invece semplicemente si sdraia accanto all'altro, sulla sinistra. Quello bianco non ricordo cosa fa, ma rimane comunque accanto a me, alla mia destra. Nel frattempo osservo cosa succede. Guardo nel riflesso e vedo che gli altri, che scopro non essere mostri ma lupi anch'essi, lupi enormi, violenti e spietati, che appena toccano qualcuno e lo sbranano fanno comparire questa strana nube surreale che mi impedisce di vedere uno spettacolo ancora più macabro e splatter.
Sono terrorizzata ma, sebbene questi due lupi non mi tocchino e sembrino delle specie di alleati, non voglio muovermi. Non riesco a fidarmi. Sono paralizzata dalla paura. Vedo una moltitudine di persone essere trascinate con violenza sul terreno della piazza, quando vi si avvicinano. Anche bambini in tuta da neve, bimbi che giocano con le loro slitte giocattolo rosse, rosa, a pois, celesti. Con i loro cappellini e tutto il resto. Bambini. Vengono trascinati, sbranati, trasformati in cose indefinite, in altri lupi mannari. Le urla sono terribili ma rimango immobile con il lupo bianco al mio fianco e quello grigio sdraiato verso di loro. Sono entrambi a fianco a me e formano una specie di divisione tra me e il resto.
Dopo un po' alcuni strani pensieri pensieri passano per la mia testa, pensieri che mi sento molto stupida a non aver accolto. Penso di dover spegnere la tv che ho davanti. Si, perché davanti ho una TV o quello che il sogno pensa sia una TV. E il riflesso "sulla plastica" è in realtà quello della TV, del suo schermo. Penso spontaneamente che possa svegliarmi premendo semplicemente il bottone ma non lo faccio per assurde ragioni. Non lo faccio perché penso di dover rimanere lì per una qualche ragione che non ricordo e non mi passa per la testa neanche per un istante che possa trattarsi di un sogno, da cui potrei svegliarmi. Decisamente assurdo. Continuo a vedere ciò che fanno i lupi alle altre persone. La tensione nel mio corpo è ancora a mille ma sono sorpresa dai due lupi al mio fianco, che un po' spezzano quest'ultima. Perché non mi uccidono? Sentendo il mio odore dovrebbero capire che sono anche io umana. Loro sanno che sono umana, devono saperlo per forza.
Non capisco. Non ci capisco più nulla.
Mi sveglio.
Appunti scritti alle 6.29 del 10 ottobre 2021
L’angelo dal cuore di melma
Devo fare le analisi del sangue e per fare ciò mi reco in un posto molto particolare, un palazzo in stile gotico. (Nello schizzo linkato, qualcosa simile all'immagine a
https://imgur.com/PFnlbY9) I colori dell'edificio sono scuri e visivamente è antico. Ha un qualcosa di mistico e inquietante e davanti ad esso c'è un enorme cancello bianco in ferro battuto con piante rampicanti che lo adornano. Il cancello è semichiuso, la parte destra è leggermente aperta e cigola quando la spingo per entrare. Scopro una specie di entrata segreta ed entro nel palazzo. Appena dentro, gli interni di quel luogo sinistro mutano in una specie di grotta disseminata di raffigurazioni religiose, tombe e altari (elementi per i quali provo una specie di fobia nella veglia). Il luogo è buio e tetro e non ci sono uscite, e quelle poche aperture che ci sono mutano, autosigillandosi nel momento in cui le guardo: pur non essendo claustrofobica, una crescente pressione mi assale, facendomi mancare il respiro. Ovunque io mi giri ci sono questi elementi spaventosi e tetri, cerco quindi di distogliere lo sguardo per non far cadere l'occhio su qualcosa che potrebbe spaventarmi o farmi impressione. Ho paura di guardare perché potrei vedere tombe, teche con persone imbalsamate e altre cose che al sol pensiero mi fanno sentire male. Mentre giro per la grotta (che è aperta in cima, come se fosse a forma di tazza/ciambella, cosa che comunque non mi aiuta) vedo un'apertura, quella nella foto b, che è molto stretta, tra due ammassi di rocce, ma che intuisco essere l'unica uscita disponibile. Da fuori sento un sacco di rumori violenti e minacciosi, come se ci fossero uomini pericolosi che stanno compiendo atti violenti.
I ricordi riguardanti la presenza di questi uomini sono un po' confusi, ma cercherò di essere il più chiara possibile: c'era una situazione di ansia e di pericolo e pensavo che sarebbero entrati da un momento all’altro; quindi, ho fatto di tutto per non farmi sentire. Non ricordo perché ma dopo un po', comunque, ho provato ad uscire da quella fessura e mi sono vista arrivare un bimbo. Questo bimbo era identico ad un personaggio che avevo ideato per la mia storia: un bimbo piccolo, di appena cinque anni, biondo con i capelli lunghi, come se fosse un elfo o un angioletto, e di quest'ultimo aveva due ali paffute. Nella mia immaginazione e anche nel sogno aveva abiti precari, una sorta di veste verde oliva.
Il bimbo si è lanciato verso di me dicendomi che dovevo colpirlo e quando si è avvicinato, mettendosi addirittura in una posizione affinché io potessi colpirlo, ho notato che era ferito. Inizialmente, nel buio dell’inconsapevolezza, l’ho colpito un paio di volte. Poi mi sono fermata immediatamente, realizzando meglio che stavo facendo qualcosa di assolutamente insensato. Aveva grandi occhi azzurri, leggermente socchiusi, come se fossero appesantiti da una forte stanchezza. Parlava a malapena, si lamentava molto ed era dolorante. Dalle parole che sto usando non traspare, ma ero scioccata, profondamente scioccata. Ho rimosso molti dei ricordi di questo sogno ma questo bimbo, praticamente, aveva un problema al cuore: aveva una specie di fessura e io, nel sogno, dovevo bucare questa fessura nel suo petto per ricucire e "aggiustare" qualcosa nel suo cuore. All'inizio utilizzavo uno strumento, presumibilmente in acciaio, ma il bimbo mi diceva che gli facevo male, lamentandosi, quindi usavo le mani con più delicatezza che potessi. Dal cuore, anzi dalla fessura che portava al suo cuore, fuoriusciva un liquido bluastro, nero, melmoso, come se fossero grumi di sangue nero. Quella sostanza gli provocava un enorme dolore ed io cercavo di essere delicata il più possibile per aiutarlo. Soffrivo molto anche io guardandolo torcersi dal dolore. Dietro la schiena aveva un paio di ali paffute cucite grossolanamente con ago e filo. Questa operazione la svolgevo ripetutamente ai piedi di quella fessura, avvolta nel buio di quella grotta e illuminata parzialmente solo dagli spiragli di luce che filtravano dalla strettissima apertura alla mia sinistra. Ero seduta su una roccia. Non ricordo gli eventuali dialoghi, nè se questa certezza fosse cresciuta in me automaticamente o se fosse scaturita da qualche sua parola o altro, fatto sta che questo bimbo aveva bisogno di essere "ricaricato" ogni notte e per fare questa cosa, per "ricaricarlo" dovevo bucare il suo petto attraverso la fessura che c'era (simile ad una ferita ancora non rimarginata, coperta da punti realizzati con un filo bianco) e, con le mani, scavare e arrivare fino al cuore per mettere una cosa che non ricordo. Nel sogno passavano diversi giorni. Nel sogno ad un certo punto lo porto a casa, in braccio, e dico che questo bimbo ha urgentemente bisogno di un medico perché la ferita si richiude ogni giorno, ma io devo impedire che questa si richiuda e con delicatezza devo riaprirla per mettere quell'aggeggio. Quando ci provo, ogni volta, dalla fessura/apertura escono gli strani liquidi neri e melmosi e lui prova un enorme dolore, cosa che a me terrorizza e mi rende triste e affranta ma che allo stesso tempo, per senso del dovere, sento di dover fare, perché lui sta soffrendo e io sono l'unica persona che può salvarlo. Sono dunque a casa e sento dire che dobbiamo scappare tutti perché siamo in pericolo, il motivo non me lo ricordo perché la scena era molto confusionaria. Capisco che il bimbo ha anche una specie di malattia agli occhi o al corpo, come se avesse delle cisti che gli impediscono di aprire completamente gli occhi (pensieri senza alcun senso logico formulati nel sogno). Voglio un bene infinito a quel bambino e voglio salvarlo a tutti i costi. Nel sogno in quel momento c'è la mia famiglia, il mio ragazzo (attualmente ex ragazzo, ragazzo al momento del sogno) e gente a caso che non ricordo. C'è un pezzo che non ricordo. Dopo questo periodo che non ricordo, verso la fine del sogno, quando chiedo alla mia famiglia del medico, si accorgono che il bimbo può volare e mio fratello lo grida. Ricordo questa scena triste in cui il bimbo cerca a tutti i costi di volare via, spaventato e agitato, l'ambiente è scuro ma lui cerca di andare in alto, che è più illuminato, ma è come legato da una specie di filo invisibile (come se il filo fosse legato ad una sua gamba) e non ce la fa. Ricordo poco del finale, ciò che so con certezza è che il sogno è parso durare tantissimo e avevo sviluppato un legame con quel bimbo indissolubile. Era tenero, piccolo, innocente, puro, aveva bisogno di aiuto e io dovevo salvargli la vita a tutti i costi, domandandomi come potessi fare ma senza trovare mai una risposta o una soluzione.
Mi sono svegliata ancora con le sensazioni fisiche del sogno sul corpo, con gli occhi lucidi e il primo pensiero che ho avuto è stato "E adesso come lo salvo?"
Note particolari: nella storia che sto scrivendo il bimbo in questione (che ho rimosso in modo permanente a seguito di questo incubo) si chiamava Lesley ed era una specie di elfo dei boschi/aiutante silenzioso.