da Alrescha » 07/11/2016, 2:03
Dovrei scriverne altri due prima, ma dato che questo è il più importante fra tutti darò a questo la priorità
Mattino 1 Novembre 2016
Sole sulla terra e ritorno ad Oniria
Sogno cominciato da comune.
Sono a Parigi, fuori dalla mia università, e sto ritornando a casa insieme alla mia coinquilina francese. Lei non esiste nella realtà dato che ho tutti coinquilini italiani e l’unico francese è un uomo, ma non me ne accorgo.
La ragazza mi fa discorsi in francese ed io cerco di risponderle in francese finché non incontro un ragazzo che è il mio “tutor” di collegamento fra l’università francese e la mia italiana nonché quello che ha organizzato il mio stage qui (anche lui in realtà non esiste).
Mi chiede in italiano come va con l’apprendimento della lingua ed io prima rispondo a lui e poi cerco di tradurre i nostri discorsi alla mia coinquilina.
Lei però pare scocciata e quando ci allontaniamo dal ragazzo mi tiene il muso. Arriviamo ad una piazza e lei prende le chiavi dalla sua borsa, si dirige verso un portone incastonato fra uno dei lati che racchiude la piazza e aprendolo entra dicendomi che sarebbe salita in casa.
Il mio primo pensiero è stato “di chi è questo portone? Non lo riconosco”, il secondo che è venuto dopo che la mia coinquilina lo ha aperto è stato “Ah già, è il nostro”.
Le chiedo che cosa ho fatto di male per averla ferita anche se ho l’impressione che a scocciarle sia l’aver parlato in italiano con il ragazzo senza che lei potesse comprendere e che mi accusi di non aver tradotto tutto il discorso, ma lei non mi risponde dicendomi solo “à plus tard” e si chiude il portone alle spalle.
Decido di seguire il suo consiglio e invece di entrare subito in casa voglio farmi un giro. La piazza sembra affollata come di un sabato pomeriggio ed io prendo il vicolo alla sinistra del portone in questione.
Per caso passo d’avanti ad una vetrina a specchio e mi accorgo di indossare dei pantaloni un po’arabeggianti di un colore giallo scuro molto saturo. Ma come mi sono vestita stamattina?
Mi guardo e quasi mi vergogno di andare in giro così, non sono proprio da me questi pantaloni. Qui scatta il dubbio: vuoi vedere che sono in un sogno? Io questa roba non la metterei mai.
Faccio un salto per tentare di spiccare il volo e ricado subito dopo come se la gravità fosse normale. Non mi arrendo, ormai sono convinta che questo sia un sogno così mi arrampico sul primo palazzo che ho vicino e spicco di nuovo un balzo da più in alto.
Stavolta è fatta! Comincio a sollevarmi ed alzarmi di quota sempre di più. Vedo la città sotto di me rimpicciolirsi, più in là c’è il mare e vedo delle isole che si fanno a mano a mano più piccole e lontane perché continuo a salire senza volerlo.
Il primo pensiero va alle isole che mi richiamano subito alla mente Oniria, ma stavolta decido che non mi lascerò prendere dalla fretta e andrà diversamente. Punto uno: testare il controllo del sogno.
Inverto la direzione di volo e comincio ad abbassarmi fino a tornare alla città nello stesso punto da cui sono partita e lo riconosco perché c’è ancora lo stesso vicolo con gli stessi tavolini da caffè fuori anche se un po’ attorno è cambiato. Mi poso sopra un tetto e riesco a vedere tutta la città al di sotto come se stessi in cima ad una collina. La prima cosa che mi viene in mente è il ricordo di una conversazione con dixit, ma se reale o un falso ricordo non saprei dirlo, in cui diceva di aver richiamato il sole. Decido di fare la stessa cosa, così metto le mani avanti al busto e comincio a ruotarle come se dovessi plasmare l’aria in una piccola sfera fra di esse.
Avanti a me, per così dire nella città a valle e a diversi metri di altezza dal suolo, si forma prima un nucleo di luce e poi piano piano diventa sempre più grande, luminoso e consistente fino a diventare una perfetta sfera di fuoco.
Questa sfera di fuoco però diventa subito nera come fatta di lava fredda dove dalle fratture traspare e vive invece quella calda.
Decido di aumentare il movimento rotatorio delle mani e la lava del mio sole freddo comincia a ruotare diventando gialla e viva come se si stesse mescolando finché il sole non prende l’aspetto di quello reale, con la sua corona gialla e la caratteristica superficie a macchie.
Faccio il movimento di prendere la sfera invisibile fra le mie mani e di dividerla: il sole avanti a me si divide perfettamente a metà allo stesso modo seguendo i miei movimenti. Nel suo cuore c’è ancora il nucleo primigenio di luce che avevo creato, circondato da lava rossa e nera più fredda. È bellissimo.
Dal sole diviso a metà, chiudendo i pugni, si formano due soli più piccoli che comincio a far ruotare in senso antiorario con un’orbita circolare sempre più velocemente, avvicinandoli, fino a riunirli di nuovo causando un’esplosione che però non ha alcun effetto sulla città sottostante. In altre occasioni ho provato anche la sensazione di calore, ma non in questo caso.
A questo punto voglio freddare di nuovo il sole con l’intento di trasformarlo in una piccola luna ghiacciata, ma il sogno vacilla e c’è uno stacco, forse accompagnato da un microrisveglio.
Cerco con tutte le mie forze di restare aggrappata al ricordo del vicolo in cui ero e il sogno si riavvia da lì, dallo stesso caffè con gli stessi tavolini circolari posati all’ombra di mura di pietra che più in là, una volta svoltato l’angolo, racchiudono la piazza. Non sono però del tutto consapevole.
Ho le chiavi di casa in mano, così apro il nastro che le lega e me le metto al collo, ma il sogno me ne ricrea un secondo paio sulla stessa mano e con lo stesso nastro non appena lascio le prime.
Così mi ritrovo con l’avere due paia di chiavi identiche: una al collo e una in mano.
Mi accorgo allora di essere ancora nel sogno ed avere una seconda possibilità.
Appurato che il controllo è molto più che buono e il sogno abbastanza stabile, stavolta posso mettermi a cercare Oniria per bene.
Invece di volare come una forsennata, ritento il trucco dell’ultima volta con le porte.
Prendo la prima porta in metallo che trovo nel vicolo e che sembra appartenere al retro di un bar come da film americani. Da lì esce un ragazzo con una borsa da palestra che mi ignora totalmente andandosene via. Io afferro la maniglia una volta che la porta si è richiusa e dico fra me “Quando la aprirò, dall’altra parte troverò Oniria”.
La apro ma dall’altra parte trovo di nuovo la piazza affollata come se la porta avesse semplicemente tolto il palazzo che c’è di mezzo.
Richiudo la porta e mi concentro riportando alla mente il ricordo del luogo che voglio. Mi serve un’isola, mi serve Oniria con i suoi giardini e il suo borgo medievaleggiante.
Apro di nuovo la porta verso di me, ma stavolta lentamente e stando attenta a mettermi di lato in modo da non vedere subito dall’altra parte.
Dallo spiraglio vedo una siepe verde ed alta, un cielo azzurro e sento il rumore di onde.
Rimango con il fiato sospeso mentre finalmente mi decido ad allargare la mia visuale verso l’interno della porta e poi passare il varco.
Entro e mi ritrovo sopra un’isola dall’altra parte.
Su degli scogli ci sono una bambina dai capelli biondi lunghi, una decina d'anni e vestita con un giubbetto rosa, e suo padre di giovane aspetto, moro e dalla barba appena accennata. I due giocano fra gli scogli e la bambina addita un piccolo animale che volteggia vicino a loro grande come un uccello. La bambina dice <<Guarda papà, un drago!>> ed in effetti è un piccolo draghetto marroncino che si libra nell’aria finché non si posa a terra e solo allora diventa uccello. Finalmente sento di avercela fatta.
Appena passata dall’altra parte mi metto a correre balzando fra gli scogli come una forsennata per la contentezza. Questo posto è così giusto nella sua particolarità, come se non potesse essere altrimenti. Ma deve ancora arrivare la prova finale, così mi volto verso l’entroterra e santo cielo sì! C’è anche il vialone delimitato dalle siepi verdi, anche se sono molto più basse di come dovrebbero. Il vialone percorre tutta l’isola praticamente tagliandola a metà e dividendosi in diverse piazzette due circolari e una quadrata in mezzo prima di arrivare al nucelo della città proprio al centro dell’isola che è Oniria.
Comincio a percorrere il viale che mi accorgo essere lastricato in strani ciottoli color sabbia e se la prima piazza era di proporzioni normali, le altre due di seguito sono piccolissime che a malapena ci passo. E’ strano ma è come se la mia prospettiva non si fosse aggiustata: da lontano sembravano grandi mentre a mano a mano con l’avvicinarmi sono rimaste piccole senza ampliarsi di conseguenza allo spazio percorso.
Arrivo a quella che dovrebbe essere la città e trovo delle mura di pietra marroncina alla mia sinistra, provvista di una torre anche questa medievaleggiante ma con un tetto dalle forme tipicamente nord europee a cono. In realtà il vialone che percorro dovrebbe passare nel bel mezzo della città, ma va beh, sono dettagli innocui che potrò risistemare tranquillamente anche più tardi. Continuo la mia avanzata percorrendo il vialone verso un edificio che si sviluppa ai due lati della strada e che collega le sue due parti con una piattaforma dorata sospesa come un ponte. Non c’era la prima volta che sono venuta qui. Al mio avvicinarmi però l’edificio prende letteralmente vita smontando il suo ponte e allontanandosi, metà da una parte e metà dalla parte opposta, come se vivesse di vita propria messo in movimento da giganteschi ingranaggi dorati appena visibili sotto le sue mura.
Una nozione del sogno mi dice che questo edificio è una specie di scuola per sognatori lucidi dove si impara il controllo, ma ciò che mi incuriosisce è come tutto sembra poco statico in questo luogo.
Continuando il mio percorso sul viale diretto verso un'architettura che sembra essere un palazzo antico e sfarzoso mi accorgo che c’è qualcosa che non va: c’è sì un palazzo che tra l’altro non c’era l’ultima volta, ma cosa ben peggiore manca l’altopiano in roccia mentre al suo posto c’è un gigantesco muro di cemento armato totalmente incongruente con il resto. Immaginatevi di prendere una montagna e poi di fare un muro grigio delle stesse dimensioni al suo posto…ecco, l’effetto cazzotto in un occhio è esattamente questo. La mia bellissima isola circondata da un mare azzurro, piena di verde e di belle architetture è per metà racchiusa da un muro cementato. Arrivando all’ombra del palazzo che sta leggermente più in alto del resto della città, decido di utilizzare la stessa tecnica che ho utilizzato per trovare Oniria: mi metto in un angolo per cui la mia intera visuale sia occupata dall’edificio e poi cerco di avere un’immagine nitida di quello che voglio trovare.
Quando mi sposto dalla visuale parziale e la allargo, l’altopiano di roccia rossa si è creato fin molto al di sopra del palazzo ed è gigantesco. Sono piena di soddisfazione, però purtroppo è rimasto anche il muro di cemento dietro. Volo fino in cima all’altopiano e guardo il muro da vicino. Fra la parete di roccia rossa che delimita la parte dell’isola e il muro in cemento che cade a strapiombo dritto dentro il mare noto che c’è dello spazio, non sono attaccati. Allora mi viene in mente una cosa assurda: per togliere il muro avrei semplicemente allontanato l’isola. Sì, spostare un’intera isola con la forza è un’idea folle ma per fortuna io lo sono abbastanza.
Mi infilo tra la fessura delle due superfici verticali e comincio a spingere facendo leva con le gambe sul muro e con le braccia sulla parete di roccia. Sento muoversi l’isola con un rombo di massi rotti, dapprima lentamente, poi sempre più facilmente scivola via. La mia spinta la fa surfare sull’acqua e quando ormai ha preso velocità e sono abbastanza lontana dal muro in cemento, salgo sopra l’altopiano dell’isola errante e apro le braccia al cielo sentendomi come un capitano sulla sua nave.
Qui però c’è un cedimento del sogno. C’è un piccolo calo di lucidità e mi ritrovo dentro una stanza in cui c’è mia sorella che ha in mano una sedia mezza rotta con il coprischienale e il sedile di una pelle color rosso bordeaux. Le gambe di legno scuro della sedia poggiano su un pavimento con piastrelle color celestino. Qualcosa mi dice che la sedia e l’isola di Oniria sono la stessa cosa.
Mia sorella mi dice <<E adesso come farai con le proporzioni? Dovrai rimpicciolirti per tornare lì>> e mi mostra un buco sul sedile della sedia da cui esce la gommapiuma di imbottitura. Mi dice che potrei rimpicciolirmi a tal punto da entrare in quel buco che una nozione del sogno mi dice dovrebbe in realtà simulare una grotta.
Cerco di togliermi dalla mente questa visione e riportare invece la concentrazione all’ambiente dell’isola. Chiudo gli occhi e quando li riapro sono tornata sopra di essa, lucida.
Sono nel palazzo signorile che è stato ricavato all’interno della parete rocciosa rossa e al di sotto riesco a vedere tutta la città perché sono proprio nel terrazzo belvedere che si apre sul portone principale. In lontananza vedo le onde che l’isola provoca con il suo scivolare sopra l’acqua e capisco che stiamo ancora in movimento.
Attorno a me ci sono tantissime persone, altri sognatori credo, ma non trovo nessuno di conosciuto né ho il tempo di cercarlo con lo sguardo. Mi stanno festeggiando e mi accorgo di avere indosso un vestito ottocentesco rosso bordeaux dello stesso colore di cui era la sedia. Una delle persone presenti è un uomo sulla quarantina con una barba lunga un po' brizzolata e che ha un cilindro scuro in testa abbinato ad un tipico smoking addosso. Lui dice qualcosa di formale diretto al pubblico e tiene in mano delle gigantesche chiavi che simboleggiano le chiavi della città. Me le consegna ed io le guardo passandomele fra le mani: sono chiavi enormi per serrature gigantesche e dalle forme e i colori più disparati. Ne ricordo benissimo una che mi ha colpita, di colore verde scuro metallizzato con la forma di lucertola e con qua e là qualche gemma incastonata. Faccio una battuta sul cosa diavolo dovrei farmene io di queste, ma ormai la lucidità, già bassa dopo aver allontanato l’isola dal muro, non è più buona come prima. La scena sfuma in bianco. Cerco di aggrapparmi ancora al sogno ma il bianco diventa nero e sono già sveglia.
Apro gli occhi e dopo un po’mi accorgo di star sorridendo come una scema.
"Tal fu la mia follia da fermarmi per la bestia
Di cenere macchiata e del dono portatore
chiedendomi cosa cotal creatura fosse
<<parla inquieto spirito
di qual sorte t’ha vinto,
e rivela la mia
per cui possa gioire
o versar pianto>> "
Virtualmente affine ad
Alkimist